«Il legame che il prodotto ha con il territorio è l’elemento determinante per la sua differenziazione». E in effetti, nel nome, c’è già tutto. Al Limone dell’Etna manca solo l’ultimo passo per diventare un prodotto a indicazione geografica protetta (Igp). La richiesta di registrazione dell’eccellenza siciliana, coltivata da oltre due secoli alle falde del vulcano attivo più alto d’Europa e di cui parla anche Federico De Roberto nel romanzo I Viceré del 1894, è stata pubblicata il 18 giugno nella Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea. «Un riconoscimento per tutelare il prodotto dai falsi e dalle imitazioni», come dice a MeridioNews la presidente del Distretto Agrumi di Sicilia Federica Argentati. Per il presidente dell’associazione Limone dell’Etna Renato Maugeri è «un altro passo avanti che deve spingere i produttori a impegnarsi nella valorizzazione».
A potere essere identificati come Limone dell’Etna saranno solo le varietà Femminello e Monachello coltivate nell’area lungo la fascia costiera etnea compresa tra il fiume Alcantara a nord e il confine settentrionale del comune di Catania. Nella domanda pubblicata in Gazzetta c’è anche una tabella in cui vengono elencate le caratteristiche e i parametri qualitativi che deve avere il prodotto: dal periodo di raccolta al colore della buccia, dal peso alla forma fino alla consistenza della polpa e all’acidità del succo. Il punto fondamentale è che «tutte le fasi di produzione devono avvenire nell’area geografica delimitata» che comprende i Comuni di Aci Bonaccorsi, Aci Castello, Aci Catena, Aci Sant’Antonio, Acireale, Calatabiano, Castiglione di Sicilia, Fiumefreddo di Sicilia, Giarre, Mascali, Piedimonte Etneo, Riposto, Santa Venerina, San Gregorio di Catania, Valverde e Zafferana Etnea.
Questo perché, come viene spiegato nel documento, «la qualità dei frutti è da attribuire allo sviluppo e alla maturazione in un ambiente molto specifico con suoli di matrice vulcanica e clima mitigato dal mare». Tra i fattori che contribuiscono a rendere unico quel frutto c’è anche un’antica tecnica di coltura – chiamata forzatura o secca – che permette pure una produzione estiva. In pratica, le piante vengono forzate a fiorire una seconda volta in estate per dare i frutti (i verdelli) nel periodo che va da maggio a settembre dell’anno successivo.
Stando alla normativa europea, adesso ci sono tre mesi di tempo per sollevare eventuali obiezioni alla registrazione del Limone dell’Etna. Per arrivare a questo punto c’è voluto un lungo iter portato avanti dall’associazione Limone dell’Etna che, nata nel 2014, è pronta a costituirsi in consorzio. «Con quel riconoscimento il nostro frutto smette di essere anonimo e ha un nome, un bollino e una certificazione che permettono di riconoscerlo – spiega Maugeri – e che danno garanzia di controllo». Una sigla che crea valore. «Ma non da sola – sottolinea il presidente dell’associazione – Gli agricoltori e i produttori dovranno essere bravi a sfruttare il marchio per avere delle ricadute sul mercato».
Dopo l’Arancia rossa di Sicilia Igp, il limone di Siracusa Igp, il limone interdonato Igp e l’arancia di Ribera Dop, con il Limone dell’Etna arriverebbero a cinque gli agrumi siciliani riconosciuti. «I produttori devono continuare a impegnarsi per promuoverli – dice Argentati – e fare in modo che i consumatori li conoscano per sceglierli». Un marchio che può diventare un valore aggiunto anche per i territori in cui i frutti vengono prodotti. «Alcuni agrumeti possono essere considerati monumenti storici legati al paesaggio. La loro valorizzazione – conclude la presidente del Distretto Agrumi di Sicilia – può avere una potenzialità incredibile anche nell’impatto sul turismo».
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