Non boss ma nemmeno soldati tra le ultime file, gli oltre 120mila euro di reddito di cittadinanza sono andati a undici uomini che appartengono alla fascia media e che nei clan mafiosi della città e della provincia aretusea ci hanno messo testa e braccia. L’ultimo caso, in ordine di tempo, in cui il sussidio economico è finito a chi non ne avrebbe avuto diritto è emerso da un’indagine dei militari del comando provinciale della guardia di finanza di Siracusa. Tra i percettori che hanno goduto dell’erogazione, voluta dal Movimento cinque stelle, ci sono anche appartenenti a famiglie mafiose del Siracusano sottoposti a misure restrittive per i reati di associazione a delinquere di stampo mafioso, estorsione, associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, tentato omicidio e rapina.
«Mafia non è necessariamente sinonimo di benessere e ricchezza – commenta a MeridioNews Antonio Vesco, antropologo e ricercatore del dipartimento Culture, politiche e società dell’Università di Torino che, da anni, studia il fenomeno delle mafie – Molti affiliati alle cosche sono un’espressione di un sottoproletariato che ha estremo bisogno delle misure di welfare». Partecipano ad attività illegali anche violente, come le estorsioni o il traffico di droga, e non godono di un consenso sociale significativo. «Accedere illegalmente al reddito di cittadinanza non peggiorerà la loro reputazione», continua l’antropologo.
I mafiosi non sono tutti uguali, insomma. Alcuni godono di una certa reputazione e non si abbasserebbero a chiedere un sussidio per non perdere ciò che resta del prestigio di cui godono nei territori; altri, invece, semplicemente ne hanno bisogno e prendono quel che possono. «Il punto – sottolinea Vesco – è che la mafia non agisce sempre in modo strategico ed efficace. Ce la siamo raccontata così per molto tempo, ma il mondo dei clan è complesso e diversificato al suo interno». Tra le file delle mafie non c’è solo chi, dietro conti correnti vuoti e richieste di finanziamento in banca, nasconde disponibilità economiche ma anche chi dalle attività illecite non guadagna poi molto e, quindi, non ci pensa due volte a potere avere qualche garanzia, più o meno lecita. «In alcuni casi, i mafiosi che appartengono alle fasce meno abbienti – fa notare Vesco – hanno davvero bisogno degli aiuti messi a disposizione dallo Stato. Può sembrare paradossale, ma è così».
Tra i requisiti di compatibilità per ottenere il reddito di cittadinanza è previsto quello di non essere detenuto e non avere condanne definitive nei dieci anni precedenti. Se a essere sottoposto a detenzione o condanna è un componente del nucleo familiare del richiedente, il sostegno economico è ridotto secondo parametri prefissati dalla norma. «Il reddito di cittadinanza è un mix tra un sussidio di disoccupazione e il reddito minimo – commenta Vesco – una misura populista concepita su basi morali per cui chi la ottiene deve sempre meritarla». Un approccio che per il ricercatore «si rispecchia nel moralismo giustizialista con cui sono stati stabiliti i paletti relativi alla misura». Il discorso sui condannati che non possono percepirlo è stato al centro del dibattito mediatico, e torna tutte le volte che si parla di mafia e reddito di cittadinanza. «Il dibattito attuale – dice l’antropologo – è figlio del clima politico in cui questa misura è maturata. Ma il populismo penale – aggiunge – non aiuta la conoscenza del mondo mafioso che è eterogeneo e complesso, popolato anche da persone poco abbienti. Che lo facciano legalmente o meno – conclude Vesco – non è così paradossale che anche gli affiliati ai clan abbiano bisogno di sussidi».
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