.E così affondò la pubblica amministrazione

da Ettore De Castro
riceviamo e volentieri pubblichiamo:

“Non v’è dubbio che le responsabilità principali del degrado economico sociale e morale nel quale è sprofondata la nostra terra sono da attribuire alla classe politica; oggi, su questi fatti, vogliamo fare un tentativo di approfondimento storico iniziando dall’evoluzione che la politica ha imposto alla Pubblica amministrazione.

La Prima Repubblica, si ricorda, era quella nata nel dopoguerra, che si fondava su una Pubblica amministrazione di “diritto pubblico” che aveva il compito di applicare le leggi sia al servizio dei cittadini che delle imprese. A capo dei singoli rami di amministrazione vi erano i politici del cosiddetto “esecutivo” (assessori, ministri, presidenti…). Ciò significava che gli impiegati di qualsiasi qualifica lavoravano ed erano pagati per perseguire fini di servizio e solidarietà, molto diversi da quelli applicati invece dall’impresa privata che operava e continua ad operare nell’ambito del diritto privato e quindi con l’obiettivo di perseguire fini di lucro attraverso l’ausilio di manager pagati con criteri meramente mercenari.

Alla fine del 1992 scoppia l’inchiesta giudiziaria denominata “Tangentopoli” che coinvolge sia i politici con ruoli di governo che la Pubblica amministrazione sopra descritta (unicamente di diritto pubblico). Dopo Tangentopoli, le forze politiche che presero all’epoca la guida del Paese, per essere chiari l’allora PDS erede del vecchio PCI, con i loro rappresentanti (prof Sabino Cassese, Bassanini, Violante….) pensarono bene – SIC ! – di rivoluzionare l’assetto della Publica amministrazione introducendo immediatamente un complesso di norme che, oltre ad inserire elementi di diritto privato nella stessa Pubblica amministrazione, rivedevano contestualmente al ribasso il ruolo dei politici posti a capo di essa.

Già dalle riflessioni sopra consegnate si intuisce l’effetto devastante che deriva dall’applicazione della logica privatistica del perseguimento del lucro nella Pubblica amministrazione, che invece persegue necessariamente fini di solidarietà e di servizio.

Comunque entriamo nel dettaglio per meglio valutare gli effetti nefasti.La prima e più importante (e devastante) norma di privatizzazione del Pubblico impiego è stata emessa nel febbraio 1993 ed è precisamente il Decreto Legislativo n° 29 del 1993 denominato “Legge Cassese”, dal nome del firmatario, ovvero l’allora ministro della Funzione pubblica Sabino Cassese, studioso indicato dal PDS ex PCI.

Questa norma rivoluziona sia il concetto di Pubblica amministrazione, ma anche quello del ruolo dei politici dell’esecutivo come capi dei vari rami di amministrazione. Infatti questo provvedimento ha due titoli:

1) Privatizzazione del pubblico impiego

2) separazione della politica dalla gestione della Pubblica amministrazione.

Analizziamo il significato dei due titoli per comprendere iseguenti punti.

Privatizzare la Pubblica amministrazione significa trasformare d’amblè la vecchia pletora di dirigenti di diritto pubblico assunti in massa, anche per motivi di ammortizzatore sociale, sulla base di pubblici concorsi che testavano la sola conoscenza del diritto e non certo le qualità manageriali proprie di chi deve fare lucro. Gente che contava sullo stipendio giustamente commisurato alla funzione di servizio che nulla aveva a che fare con aumenti di ricavi d’impresa. Ebbene, questi dirigenti ‘trasformati’ in manager privati con non meglio identificati obiettivi di produzione di lucro e conseguente cumulo di stipendi: oltre a quello dovuto come pubblico dipendente, anche quello di un manager di azienda privata.

UNA FOLLIA CHE HA FATTO TRIPLICARE LE RETRIBUZIONI DELLE MIGLIAIA DI DIRIGENTI PUBBLICI CON UNA MOTIVAZIONE A DIR POCO TRUFFALDINA: sono, dicevamo, scandalosamente equiparati ai manager delle aziende private che producono ricchezza e quindi redditi dai quali poi traggono i loro compensi!

Separare la politica dalla gestione dei vari rami dell’amministrazioni significa eliminare quasi tutti i compiti e gli oneri del politico “esecutivo” (danno solo “indirizzo”) cioè assessore, ministro, presidente, sindaco, eccetera. Pur, ovviamente, mantenendo, anzi trplicando le relative indennità e, ciliegina sulla torta, introducendo la grande innovazione dei famigerati “consulenti” di fiducia (o di “letto” se consideriamo le cronache degli ultimi anni).

UNA ALTRA FOLLIA CHE HA CREATO POLITICI FANNULLONI (non hanno granché da fare), LADRI (prendono indennità da ministri senza svolgere compiti da ministri) E DISSIPATORI DI DANARI DEL PUBBLICO ERARIO (a graziose e graziosi “consulenti”).

Queste le responsabilità della parte politica del tempo – anno 1993 – che, come detto, era predominata dal PDS ex PCI, ma, essendo oggi nell’anno 2011, evidentemente detta responsabilità deve estendersi anche alle parti politiche che hanno governato negli anni successivi e che hanno ambedue (sia destra che sinistra) continuato ad usare, anzi abusare della devastante norma che ci occupa (decreto Cassese) e delle sue modifiche ed integrazioni, tutte inidonee a riportare un po’ di onestà intellettuale, di limitazione dello sperpero del pubblico danaro e di equità nella realtà della Pubblica amministrazione.

In Sicilia questa “meravigliosa normativa” viene recepita con la legge regionale 15 maggio 2000 n. 10 dall’allora governo regionale – guarda caso – guidato dal PDS ex PCI On.le Angelo Capodicasa, con assessore al Personale il PDS ex PCI On.le Mirello Crisafulli.

Questi “illuminati” politici siciliani ebbero la felice idea, con la legge regionale n. 10 del 2000, addirittura!, di ampliare i devastanti effetti del diritto privato nell’amministrazione regionale, creando un vero e proprio esercito di dirigenti manager (naturalmente falsi, come detto) di circa 2500 unità in continuo aumento e un altrettanto numeroso esercito di “consulenti-politici, oltre a raggiungere il guinness dei primati delle retribuzioni di diritto privato da sommare allo stipendio pubblico di un dirigente pubblico (la cronaca riferisce di un ex dirigente pubblico trasformato con un tocco di bacchetta magica “cassessiana” in mega manager privato che guadagnava circa 600 euro al giorno!). Il tutto pensionabile, che ha assunto i caratteri dello scandalo nazionale ed internazionale nel momento in cui si è scoperto che questo signore guadagnava più del Presidente della Repubblica Francese.

E questo scandalo si perpetua giornalmente senza che nessuno provveda; in ultimo nel Giornale di Sicilia del 21/11/2011 si legge che gli stipendi del personale del Consiglio Regionale della Sicilia sono il doppio di quelli degli omologhi del Consiglio Regionale della Lombardia .

Urge quindi fare un lavoro di rivisitazione di detta normativa nel senso di riconsegnare ai pubblici dipendenti ruoli e connesse retribuzioni legate a compiti di solidarietà e servizio, chiarendo nettamente che la Pubblica amministrazione non persegue fini di lucro, anzi il contrario, e quindi non ha da pagare manager privati se non in poche e motivate eccezioni. E, in tal caso questi devono essere veramente manager, assoldati per un tempo limitato e provenienti dal settore privato.

BISOGNA AFFERMARE CON LEGGE IL PRINCIPIO CHE IL DIPENDENTE PUBBLICO PERSEGUE IL SOLO FINE DELLA BUONA AMMINISTRAZIONE DELLA COSA PUBBLICA E DEVE ESSERE RETRIBUITO CONFORMEMENTE A DETTA ATTIVITA’.

QUINDI DEVE INTRODURSI L’ASSOLUTO DIVIETO DI CONSIDERARE IL DIPENDENTE PUBBLICO – DI OGNI QUALIFICA – COME UN MANAGER DI IMPRESA PRIVATA (anche perché non ne ha la formazione professionale, avendo superato un concorso pubblico che non testava le qualità manageriali).

Si propone pertanto di apportare le modifiche del caso alla norma adesso in vigore che discende dal dec.to leg.vo n° 29 del 1993 e cioè al dec.to leg.vo n° 165 del 2001 e del deec.to leg.vo n° 150 del 2009.

Si pone poi il tema della responsabilità del politico dell’esecutivo che viene preposto ad un ramo di amministrazione senza avere più responsabilità di gestione del ramo medesimo. E anche quello dei criteri da utilizzare per la nomina dei famigerati “consulenti”.

Vi sono già diverse proposte di modifica per quanto riguarda i criteri da utilizzare per l’individuazione e nomina dei consulenti, mentre nulla si conosce in merito al ruolo che si immagina dovrebbero avere i politici posti a capo di amministrazioni pubbliche, posto che appare veramente scandaloso che questi debbano limitarsi a dare soltanto “indirizzo”.

Si ritiene pertanto necessario intervenire anche su questa problematica ma, diversamente da quanto avvenuto nel caso dei pubblici dipendenti dove la soluzione appare veramente scontata, sarebbe utile, prima, raccogliere idee e proposte stimolando un dibattito in tutti gli ambienti interessati.

In cambio dei 300 milioni di euro la Regione dovrebbe tagliare i precari. Ma il governo di Raffaele Lombardo non ha alcuna intenzione di farlo in piena campagna elettorale. Perché anche i precari votano.

Così l’assessore regionale all’Economia, Gaetano Armao, avrebbe programmato tagli per i forestali e per i dipendenti regionali. Non per i dirigenti regionali, che continueranno ad ‘ammuccare’ i soldi che già si mettono in tasca; non per i dirigenti generali, che continueranno a mettersi in tasca, overo i mega stipendi più le premialità per gli ‘ottimi risultati’ che ogni anno raggiungono. Il conto Lombardo e Armao lo faranno pagare agli impiegati, cioè a chi guadagna meno. Insomma, una vera manovra di ‘sinistra’, non a caso appoggiata dal Pd”.

Redazione

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