Dylan: i Pod, voce del verbo potere. Cash: voce senza cash

Tempi moderni, si decisamente tempi moderni…
Bob Dylan arriva al primo posto delle classifiche di vendita in U.S.A. con “ Modern times “, una delle sue opere più scarse. Accade dopo che è stato pubblicizzato un video, invero molto bello, ove lui esegue un brano del disco per reclamizzare l’iPod delle Apple, e ciò ha fatto schizzare l’album in testa alla classifica: potenza della televisione, “ tempi moderni “, per l’appunto. Ricordando altri suoi lavori che hanno raggiunto la cima delle classifiche ( Desire, Blood on the tracks, Planet waves ) il tutto fa un certo che.

Personalmente ritengo questo disco un’opera sostanzialmente “ inutile “, e non per nostalgia dei tempi andati. La voce è curata, il repertorio vario, ma ben poco rimane dopo l’ascolto, una gran bella canzone ( la conclusiva Ain’t talkin’ ) e qualche altro bel brano non bramoso d’essere riascoltato; che poi gran parte della stampa l’abbia osannato fa ormai parte del gioco ( che aspettarsi da chi osanna “ How to dismantle an atomic bomb “ degli U2 e/o premia questo lavoro assieme alla scarsità di “ A bigger bang “ degli Stones come migliori album del 2005 ? ).
Se volete acquistare qualcosa di buono dello zio Bob ( secondo me il  Picasso del rock e dintorni, secondo la rivista Time una delle 100 persone più influenti del ‘900 – condivido ), andando a ritroso nel tempo il primo lavoro che vi consiglio è “ Time out of mind “, risparmierete soldi e soprattutto avrete tra le mani qualcosa di validissimo, pur se per nulla mellifluamente rassicurante ( caratteristica determinante per il successo di “ Modern times “: meglio uscire da un negozio con qualcosa di non impegnativo e rassicurante firmato da Dylan che da Britney Spears, si fa più bella figura con gli altri e soprattutto davanti a sé stessi ).

Se “ Time out of mind “ vi convincerà approdate a “ Oh mercy “, se invece preferite la parola scritta e disponete di borsellino ampio, la raccolta dei testi di Dylan tradotti da Alessandro Carrera e pubblicata da Feltrinelli per la “ modica “ cifra di sessanta ( si, avete letto bene, sessanta ) euro è di gran lunga da preferire a quella edita da Arcana e curata da Tito Schipa junior ( da evitare, il traduttore vuole assolutamente “ poetare “ di suo, a costo di snaturare il contenuto dei brani ). Altra lettura da prendere in seria considerazione è “ La voce di Bob Dylan “ sempre di Carrera per Feltrinelli, ottimo lavoro che può interessare sia chi del menestrello di Duluth è conoscitore sia chi gli è alieno.

Ripensando a quando lo “ zio Bob “ ha usato una voce calda in uno studio di registrazione, dalle retrovie reclama “ Nashville Skyline “ l’album del 1963 ( brevissimo: neanche 30 minuti ) che vede la presenza di Johnny Cash…quel duetto in“ Girl from the north country “, brano che molti avrebbero poi interpretato ( da Pete Townshend a Joe Cocker a…lunga la lista ) e si affiancava alla bellezza di “ Lay lady lay “, l’esecuzione vocalmente più calda di Dylan, registrata per quest’album ove il country non era di certo alieno.
E una volta nominato Johnny Cash (  “ The Man in Black “ il suo soprannome, dalla scelta di vestire di nero per differenziarsi dai country singers di colori e frange bardati, quel country da cui lui è partito per arrivare molto lontano ), una volta nominato lui impossibile prescindere dal recente “ A hundred highways “, disco postumo che è il quinto capitolo delle American Recordings di Cash assieme alla superba produzione di Rick Rubin. Un suono essenziale ridotto all’osso dove la voce dipinge il quadro senza bisogno di gran pennelli: il suo cantato, qualche strumento ed il dipinto è finito; questa la trave portante del loro lavoro comune, dopo più prove e tentativi ( anche con i Red Hot Chilly Peppers ) per trovare il sound migliore; e forse come non mai ascoltando i lavori che compongono gli American Recordings si capisce quanto bisogno ci sia non di aggiungere, ma di levare – sono esempio perfetto di ciò.

Nei dieci anni trascorsi da “ Unchained “ ( primo frutto della collaborazione Rubin – Cash, meno scarno musicalmente di quelli a seguire ) a oggi i brani registrati sono diventati dei classici di come si interpreta una canzone d’altri, oltre alle proprie. Canzoni degli U2, Neil Young, Springsteen, Nick Cave, Leonard Cohen, Neil Diamond, tanto per fare qualche nome, e duetti da brivido a cominciare da quello con Joe Strummer ( The Clash – ricordate ? ) per la “ Redemption song “ di Bob Marley, versione che non ha pari come intensità d’esecuzione.
Avvicinarsi a Johnny Cash con questo “ A hundred highways “ può essere azzardato, meglio farlo passando per altri capitoli delle American Recordings ( “ Solitary Man “ e “ The Man Comes Around “, ad esempio ) per poi arrivare a quest’ultima opera edita; oppure giocate il jolly, rischiate, vi prendete una serata calma in cui avete voglia d’una voce che sia icona di cuore ed anima e poco attorno musicalmente.
Scoprirete così chi è capace di interpretare un pezzo di Springsteen meglio di Springsteen stesso, di fare risplendere brani non molto conosciuti, a iniziare da una “ If you could read my mind “ di Gordon Lightfoot che definire a parole è come provare a spiegare il gusto d’un cioccolato d’eccellenza, ed altro ancora per queste dodici tracce a volte quasi sospirate ( la morte non era distante ) ma pervase da un fluido che indica, porta lontano, più lontano dei dischi precedenti.
E’ un jolly, lo ripeto, a voi ora la scelta, e se ritenete non sia ancora il momento ( pensateci bene prima di ) tenete questo nome in memoria, se ogni cosa ha il suo tempo il suo inchiostro non sbiadirà.
Come non sbiadiranno le American Recordings, incisioni con le quali Cash sta entrando progressivamente nell’immaginario collettivo musicale, luogo dove già risiede grazie, fra l’altro, ai concerti tenuti nei penitenziari, di cui quelli a St, Queentin o alla Folsom Prison fanno parte della “ discografia classica “ degli ultimi decenni.

E lasciamo l’attuale Dylan al suo “ i Pod “, mentre scorre questo Cash che, a dispetto del nome, non s’impernia su pecunia, spot e classifiche di vendita e, tranquillamente oso, rimarrà nel tempo più dell’ultima opera di Dylan.

Toni Piccini

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