Dylan Dog compie 20 anni

C’è un uomo sulla trentina dalla camicia rossa e la giacca nera, indossa jeans sempre un po’ stretti e porta delle clark’s chiare ai piedi. Lui è l’indagatore dell’incubo, nella vita è pagato proprio per fare questo. Lui è Dylan Dog che, per le strade di Londra, col suo maggiolone cabriolet Wolksvagen targato DYD 666 (non poteva aver altro numero di targa) – ottenuto al posto del pagamento di una parcella – è ingaggiato per cercare di sconfiggere i Mostri veri o presunti che popolano la società conemporanea. Sempre con una pistola scarica, con un’insofferenza tutta post-moderna e un’amara (auto) ironia, Dylan Dog, il fumetto italiano più intrigante degli ultimi anni, compie 20 anni nei primissimi di questo ottobre. Venti anni di investigazioni paranormali, di casi impossibili da risolvere, di notti lunghissime e mai dome, di morti sfuggite solo per poco, di amanti sensuali ed ambigue, di assurdità mai del tutto controllate. Nato dall’idea di Tiziano Sclavi a metà degli anni ’80, Dylan Dog (dal volto dell’attore inglese Rupert Everett e dal nome del poeta Dylan Thomas), è diventato ben presto la striscia più letta in Italia – con un milione di copie mensili – e l’idea più affascinante partorita da quella fucina inesauribile che è la Bonelli Editore.

Perché la storia di questo ex-poliziotto dello Scotland Yard, ha affascinato migliaia e migliaia di lettori? Perché Dylan, innanzi tutto, è un uomo moderno: scettico, cinico, annoiato, squattrinato. Un uomo che soffre di claustrofobia, di vertigini, che ha paura degli insetti, che è stato alcolizzato (e forse per questo ha perso il suo posto alla polizia) e che poi è diventato vegetariano e astemio. Che trascorre il suo tempo strimpellando al clarinetto l’unica melodia che conosce (“Il trillo del diavolo” di Tartini) e tentando di completare quel modellino di galeone (comprato assieme allo strumento musicale al negozio paranormale “Safarà”) che mai riuscirà a finire. Ha una casa, al numero 7 di Craven Road, piena di cianfrusaglie mostruose con un ‘campanello-urlo’ che, ad ogni suonata, fa saltare in aria dallo spavento. Dunque, agli antipodi rispetto a un qualsiasi eroe dei fumetti, Dylan non è imbattibile, non è coraggioso, non è intraprendente (rifiuta inizialmente quasi tutti i casi che gli vengono proposti). Così è definito nel sito ufficiale della Bonelli:  

«Dylan è un anti-eroe, dunque? Neanche: soltanto un uomo. Un uomo che, a differenza di tanti, non rifiuta l’ignoto ma tenta anzi di penetrarlo e comprenderlo, specialmente quando il mistero e l’orrore si celano nel profondo dell’inconscio. Ironico, impulsivo, problematico, pieno di dubbi su se stesso e sul mondo, forte e tenero nello stesso tempo.»

E poi c’è Groucho, il suo assistente, ovviamente costruito da Sclavi con le sembianze e le caratteristiche dell’omonimo comico Groucho Marx. Groucho rappresenta la spalla perfetta: ironico, rassicurante, sfacciato e provvidenziale. Le sue barzellette nel corso degli albi pubblicati sono diventati una gamma irresistibile di humor inglese. La saga di Dylan Dog ha conquistato il pubblico anche per la saggezza dei suoi autori nella geniale caratterizzazione del personaggio. Le consuetudini, i tormentoni, i fatti che si ripetono e i personaggi che, episodicamente, ritornano. Come l’ispettore Bloch, un po’ il padre putativo di Dylan, come il dott. Xabaras, forse il vero padre, come Hamlin, lo strambo proprietario del bazar “Safarà”, come Morgana fidanzata di Dylan (o forse madre?) o come la signora Trelkowski, la medium. E poi ancora i particolari ed il citazionismo che Sclavi si è divertito a sparpagliare quà e là nei vari episodi (“Settimo Sigillo” di Bergman, “Fuori Orario” di Scorsese).

Nei prossimi giorni la Bonelli pubblicherà il numero 241 interamente a colori per celebrare il ventesimo compleanno dell’indagatore dell’incubo.

E insomma buon compleanno, Dylan Dog. AntiEroe contemporaneo a caccia dei mostri peggiori: i suoi limiti.

Riccardo Marra

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