Duplice omicidio Piana, ascoltato il fratello di una vittima «Sapevo di accordi con i custodi, ma non in questo caso»

È già entrato nel vivo il processo per il duplice omicidio e il tentato omicidio avvenuti la notte tra il 9 e il 10 febbraio del 2020 in contrada Xirumi, nella zona della Piana, a cavallo tra le province di Catania e Siracusa. Imputati sono il custode Giuseppe Sallemi e il pensionato Luciano Giammellaro. A perdere la vita furono il Massimo Casella e il 18enne – figlio della sua compagna – Agatino Saraniti. Unico sopravvissuto e testimone chiave dell’inchiesta è Gregorio Signorelli che è anche indagato nel procedimento collegato per il tentativo di furto di arance di quella notte. 

Nella seconda udienza del processo, che si è tenuta questa mattina davanti alla corte d’Assise di Siracusa, il barone tedesco proprietario di uno dei terreni in cui sono avvenuti i fatti si è costituto dopo essere stato citato come responsabile civile. Ad assisterlo è l’avvocato Franco Passanisi, uno dei legali di Sallemi. L’altro proprietario terriero, invece, è deceduto. Una parte dell’udienza ha riguardato poi l’audizione del fratello di Massimo Casella, Mario che dal pulpito della chiesa Resurrezione del Signore, in viale Castagnola a Librino durante i funerali aveva esortato tutti a «non cedere al desiderio di farci giustizia da soli». Era stato lui a trovare il cadavere del fratello raggomitolato in un avvallamento del terreno. Oggi, oltre a ripercorrere i fatti, ha raccontato delle condizioni economiche disagiate del fratello che, qualche volta, andava a rubare le arance. E ha anche riferito di essere a conoscenza di «accordi con alcuni custodi» anche se non per il caso specifico. 

Durante la prossima udienza, già fissata per il 25 giugno, saranno ascoltati due degli ispettori che si sono occupati delle indagini. Inoltre, la corte conferirà l’incarico a un perito per le trascrizioni delle intercettazioni sia telefoniche che ambientali (in alcune auto, in ospedale, in carcere) raccolte durante le indagini. Oltre alle prove tecniche e balistiche, fulcro dell’accusa sono le dichiarazioni di Signorelli che, già dall’ospedale in cui era ricoverato dopo le gravi ferite, aveva ricostruito quanto accaduto nella vasta scena del crimine. «Erano in tre – aveva raccontato il sopravvissuto in un’intervista esclusiva a MeridioNews – sono arrivati con due macchine. I due uomini che sono scesi dalla jeep erano già armati». Loro, invece, erano tutti e tre disarmati. Una versione che Signorelli ha poi ribadito anche durante l‘incidente probatorio. La terza persona di cui ha parlato è un uomo più giovane, individuato nel figlio dell’anziano guardiano (non indagato) che «avrebbe solo assistito ai primi momenti ma sarebbe andato via senza prenderne parte».

Dopo essere stato arrestato, Sallemi (detenuto nella casa circondariale di Piazza Armerina che anche oggi ha rinunciato a essere presente) aveva confessato di avere agito da solo e per legittima difesa. Una versione smontata dai risultati delle autopsie che lui stesso, in seguito, avrebbe parzialmente ritrattato. Giammellaro (che si trova nella casa circondariale di Agrigento da dove si è collegato in videoconferenza) continua a professarsi innocente. Il suo legale ha anche chiesto una perizia e la corte si è riservata di valutare. Per il sostituto procuratore, a spingere i due a imbracciare il fucile calibro 12 (portato illegalmente in quel luogo perché Sallemi aveva il porto d’armi solo per andare a caccia) caricato a pallini e a esplodere diversi colpi, anche a distanza ravvicinata, sarebbe stato un «risentimento per l’azione predatoria ai danni del fondo agrumicolo», si legge nei documenti. Un movente che è stato ritenuto sproporzionato all’azione per cui sussiste l’aggravante dei futili motivi. Per la morte di Saraniti, inoltre, viene contestata anche l’aggravante della crudeltà per l’ultimo colpo sparato a bruciapelo.

Marta Silvestre

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