Droga a Librino, bimbo al servizio del pusher tatuato Il nome del capo sul braccio: «Levati questa merda»

«Appena esci ti devi coprire questa merda». Mentre la donna parla, con la mano indica l’avambraccio del compagno. I due sono faccia a faccia nella sala colloqui della casa circondariale di piazza Lanza, a Catania. Lui ha tatuato un nome: Gabriele. Non si tratta del figlio o di un parente ma, secondo gli inquirenti, di Agatino Gabriele Strazzeri. Il ragazzo 22enne, arrestato ieri nell’operazione antidroga Chilometro zero, che nel 2016 avrebbe preso in mano la gestione del fortino dello spaccio al civico tre di viale Biagio Pecorino, a Librino. «Un vero e proprio segno di sottomissione», si legge nell’ordinanza.

Strazzeri é un semisconosciuto, ritrovatosi con in mano un business da mezzo milione di euro al mese, a quanto pare perché ritenuto di «assoluta fiducia» dal boss Rosario Lombardo. Quest’ultimo, componente dei triumviri che nell’ultimo periodo avrebbero retto Cosa nostra ai piedi dell’Etna e amante della musica neomelodica, finito ai domiciliari in una località protetta e per questo costretto a cedere il testimone, almeno secondo gli inquirenti. «Vedi che ti sei tatuato – insiste la donna – a uno che prende e rideva con i suoi amici dopo un quarto d’ora che ti avevano arrestato». Con Strazzeri, in un ruolo di primo piano, avrebbe agito anche Carlo Burrello, giovane parente di Marcello Magrì, altro personaggio di spicco dentro Cosa nostra.

L’uomo con il tatuaggio viene ammanettato dai carabinieri a metà del 2016, con in tasca alcune dosi tra marijuana e cocaina. Un passaggio, quello in carcere, ritenuto possibile da pusher e vedette ma che, almeno nelle intenzioni, celerebbe la possibilità di ottenere del denaro per il mantenimento. Cosa che, però, non sempre avviene per chi lavora nel mercato della droga in un quartiere abbandonato e trascurato. «Mi hanno arrestato per loro, ti devi prendere i soldi», dice alla compagna. La donna, come si legge dagli atti dell’inchiesta, si trovava in difficoltà nel reperire i fondi: «Io non li volevo prendere, me li hanno buttati in macchina e ridevano pure». Mentre la coppia parla a colloquio le cimici dei carabinieri registrano ogni parte del dialogo, ed emerge anche l’ammontare della donazione: «Ti devono dare 100 euro a settimana. Hai capito?». Le pretese del pusher finito in cattività però non sembrano tranquillizzare la compagna, che lamenta difficoltà anche nel trovare un avvocato per l’uomo. «Ormai mi devono campare loro. Anche con gli arresti (domiciliari, ndr)». Dalle parti di viale Biagio Pecorino, intanto, gli affari proseguivano tra alti e bassi, come la stessa donna riferisce durante l’incontro: «Appena sei andato via tu, già avevano un ragazzino». Emblematico della capacità del gruppo di autorigenerarsi in pochissimo tempo, nonostante arresti e blitz. 

A lavorare tra inaccessibili vani scala e droga passata da una grata c’era pure il figlio della compagna del pusher. Un bambino di sei anni inconsapevole strumento del mercato della droga. Il suo modo di agire è sembrato agli inquirenti quello di un uomo in miniatura, forse intento a giocare con bustine e soldi da mettere al sicuro. Il 26 aprile 2016 compare durante il turno di spaccio del pomeriggio. Lo stesso avviene nei giorni successivi. Il piccolo prende sempre in mano delle banconote e viene visto allontanarsi verso la scala A dello stabile, probabilmente per mettere al sicuro i proventi della vendita al dettaglio. Anello di una catena di montaggio gestita da ragazzi sempre più giovani. 

Il nome del patrigno finisce anche in un documento sequestrato. Una sorta di libro mastro dello spaccio conservato nell’abitazione di Christian Strazzeri, fratello del presunto gestore della piazza di spaccio. Il documento, particolarmente importante per i suoi contenuti, non è altro che un foglio di quaderno a quadri. Scorrendo la sequenza di cifre e date, riportati utilizzando una penna nera, vengono elencate il numero di dosi cedute e l’ammontare delle uscite per pagare i lavoratori. Tra questi c’è pure un nomignolo particolare. «Nella carta c’è scritto 500 euro. Quello sono io», si lascia sfuggire lo spacciatore davanti alla donna, dopo avere pronunciato il suo soprannome. 

Dario De Luca

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