Dopo Manifesta i palazzi restano chiusi al pubblico «Non è solo il Comune a dover fare la propria parte»

A parte il caldo, l’estate palermitana finora non è stata contrassegnata da grandi avvenimenti culturali. Appena un anno fa, invece, il capoluogo siciliano era al centro delle attenzioni nazionali e internazionali grazie al riconoscimento di capitale italiana della cultura e alla presenza di Manifesta. Eppure di ciò restano poche tracce. Basta fare un giro tra i tanti siti che nel 2018 erano stati riaperti proprio grazie alla biennale nomade d’arte contemporanea: quasi tutti sono inaccessibili al pubblico e di quelle opere è rimasto soltanto il giardino allo Zen. Per chi poi ha lavorato a Manifesta il ricordo è ulteriormente offuscato dai ritardi nei pagamenti, ancora in coda a distanza di otto mesi dalla chiusura della biennale. Lo stallo – per alcuni artisti e tecnici – è dovuto all’assenza del contributo pubblico, che il Comune avrebbe dovuto fornire attraverso l’ex bando periferie emanato dal governo Renzi e che il governo Lega-5stelle ha in un primo momento bloccato.

«Negli ultimi 20 giorni abbiamo ricevuto altre somme – dichiara Roberto Albergoni, direttore generale di Manifesta – per cui abbiamo provveduto a dare acconti a tutti, soprattutto i piccoli fornitori, dando a tutti respiro. Non abbiamo più dunque la pressione quotidiana, giusta e sacrosanta, che avevamo fino a qualche tempo fa. Rimangono ancora dei crediti scoperti, che sono appunto quelli del bando periferie. Noi abbiamo rendicontato ogni spesa, abbiamo trasmesso tutto alla presidenza del Consiglio e siamo in attesa dell’approvazione». Resta in sospeso una domanda: dopo il ricco pranzo culturale che Manifesta ha garantito, magari attraverso portate non sempre apprezzate, il capoluogo siciliano è già nel periodo di magra? E la biennale è stata più una risorsa o un’occasione mancata?

Facendo un giro tra le varie sedi di Manifesta, viene da propendere più per la seconda ipotesi. «L’auspicio è che, scardinati alcuni meccanismi, si possa andare avanti. Certamente ci vuole tempo»  è il commento di Albergoni. Di questi tempi ad esempio l’anno scorso a Mondello era possibile gustare l’apertura dell‘arena Sirenetta, che ha consentito un’apprezzata rassegna cinematografica sotto le stelle, mentre oggi lo spazio di proprietà dei privati rimane chiuso. Stesso destino per palazzo Costantino, in via Maqueda all’altezza dei Quattro Canti, inaccessibile nonostante la mole di turisti che percorre ogni giorno quel tratto pedonale (mentre su google il Palazzo risulta sempre aperto). 

Palazzo Ajutamicristo, che l’anno scorso ha ospitato tra le altre un’apprezzata installazione No Muos, è tornato ad essere mera sede di alcuni uffici della Soprintendenza dei beni culturali: all’ingresso almeno una decina di lavoratori ex Pip, stipati in uno spazio piuttosto ristretto, che spiegano come l’immobile non sia più visitabile. Poco distante c’è Palazzo De Seta, che ospita soltanto l’Ance (l’associazione nazionale costruttore edili) e «qualche mostra ogni tanto» (come viene spiegato al citofono) nonostante le enormi potenzialità di attrazione. Così, giusto per limitarsi al perimetro della Kalsa, l’unica struttura che rimane in funzione è il teatro Garibaldi. Almeno fino a dicembre, però, visto che ospita la fondazione Manifesta e che, a sua volta, ha messo a disposizione gli spazi per chi voglia usufruirne (in attesa di un bando del Comune).

«Per il Garibaldi stiamo affrontando anche sacrifici personali, per tenerlo aperto – assicura Albergoni – Ma avendo gli uffici qui fino a dicembre riusciamo comunque a governare il processo. Voglio ricordare poi che abbiamo affidato il bar e il luogo viene utilizzato per tantissime attività. Per quanto riguarda gli altri spazi alcuni sono privati, altri pubblici. E dunque, finita la biennale, come fondazione non abbiamo la possibilità di fare alcunché. Come cittadino condivido il rammarico sulla chiusura degli spazi al pubblico, e allo stesso tempo ho la sensazione che si stiano avviando processi virtuosi. Era un po’ naturale che ci fosse il momento di trauma, dopo la fine del 2018. Ma io sono abbastanza ottimista sul fatto che alcune energie e sinergie tra pubblico e privato possano mettere in piedi un rilancio. Occorre complessivamente, e questo lo dicevo prima della chiusura di Manifesta (dunque in tempi non sospetti), che non è solo il Comune che deve fare la propria parte ma che lo facciano tutti coloro che hanno manifestato interesse durante quel periodo di visibilità internazionale».

Un buon proposito che però al momento rimane sulla carta. Con la giunta Orlando che nel frattempo ha cambiato anche l’assessore di riferimento: non più Andrea Cusumano, che più di tutti ha spinto e investito proprio sulle potenzialità di Manifesta, ma Adham Darawsha. Un cambio nel segno della continuità, almeno secondo gli annunci, che però deve fare i conti con la cronica assenza di soldi per arte e cultura. Ma il ruolo del Comune avrebbe potuto, o dovrebbe essere, anche essere altro? «Il Comune doveva fare rete, certamente, e inoltre molti posti che noi abbiamo riaperto avevano già molti problemi prima che arrivassimo, a partire da quello della sicurezza – afferma Albergoni – Laddove abbiamo fatto interventi li abbiamo lasciati, non è che ci siamo portati dietro i cavi elettrici o altro». Il rischio, però, è che resti solo quello.  

Andrea Turco

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