«Padre Pino Puglisi è stato un figlio coraggioso della Chiesa che parla e che non sta in silenzio, di una Chiesa che non si inchina davanti a nessuno, ma che si inginocchia solo davanti al crocifisso e ai poveri e ci ha lasciato una preziosa eredità civile: con la mafia non si convive. Fra la mafia e il Vangelo non può esserci alcuna convivenza o tanto meno connivenza. Non può esserci alcun contatto né alcun deprecabile inchino». È uno dei passaggi dell’omelia pronunciata a Brancaccio dal cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della conferenza episcopale italiana, nel corso di una veglia organizzata dall’Arcidiocesi per ricordare il beato ucciso da cosa nostra il 15 settembre di 24 anni fa.
«So bene che le organizzazioni criminali per realizzare i loro progetti – ha proseguito Bassetti – creano un clima di paura che sfrutta la miseria, la disperazione sociale e l’assenza della certezza del diritto. Per questo è assolutamente necessaria una presenza forte dello Stato, autorevole e soprattutto educativa. Chi è un discepolo di Cristo è tenuto a denunciare le tenebre, quindi le organizzazioni criminali. Denunciarle con le parole, con i gesti, con la testimonianza, ma anche rivolgendosi alle forze dell’ordine e alla magistratura che in questo territorio, come nel resto dell’Italia, hanno pagato con il sangue il loro impegno contro l’illegalità: oltre a Carlo Alberto dalla Chiesa, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino che sono stati uccisi qui a Palermo, vorrei ricordare il giudice “ragazzino” Rosario Livatino di cui è in corso il processo di beatificazione».
L’arcivescovo però ha poi messo in guardia dal «rischio di trasformare il beato Puglisi in un santino, un nome da richiamare qualche volta magari per sentirci con la coscienza a posto». Bassetti si è detto commosso perché don Pino è stato un volto «a me caro e persino familiare. L’ho conosciuto personalmente fra gli anni Settanta e Ottanta. Ne ricordo ancora il suo sorriso, il suo sguardo, la sua dedizione totale. Una persona apparentemente fragile, ma già allora si percepiva che era un gigante della fede. Percorreva altre strade rispetto a tutti noi – ha detto – i giovani erano il suo tesoro, da custodire e preservare dagli inganni suadenti e dalle scorciatoie promesse dai malavitosi. In una terra di miseria e disoccupazione, Puglisi intuì, come don Milani, che era fondamentale fornire dignità ai poveri partendo dall’educazione». Il Centro di accoglienza Padre Nostro è la prima eredità visibile che don Pino ha lasciato a questo quartiere. La prima eredità visibile, non certo l’unica.
Era un prete che «abitava il territorio, le periferie. In quelle frontiere, che oggi sono troppo spesso al centro delle polemiche, don Pino viveva quotidianamente per stare accanto ai poveri e ai disperati e prendersi cura di loro. Abitava la frontiera senza paura, smascherando ciò che si celava dietro al codice d’onore mafioso».
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