Do you speak siciliano? E la Fiera si spacca

«Qui ci sono tanti stranieri. I problemi li abbiamo già con l’italiano». Secondo i piani della Regione siciliana saranno le scuole, nella loro autonomia, a decidere se attivare o meno i corsi di storia e dialetto della Sicilia. Ma per Anna Maria Nicosia, preside del circolo didattico Biscari  – una delle scuole della città con più bimbi stranieri iscritti – molto probabilmente «non se ne farà nulla». «Per la promozione delle lingue locali ci sono altri spazi», «Girando per il mondo il dialetto non serve. Servono inglese, francese e italiano», sono d’accordo diversi stranieri, catanesi d’adozione, intervistati. «E poi l’italiano è più fine», ricorda uno di loro.

Alla Biscari eravamo già stati tre anni fa, dopo l’idea della Lega nord di formare classi separate per stranieri e italiani. Lì, al contrario, il modello applicato da tempo è quello dell’integrazione. «Non ne abbiamo ancora discusso», risponde perplessa Nicosia oggi, riguardo alla proposta regionale. Arrivata dopo la prima riunione del personale della scuola. «Nelle prossime sedute il collegio dei docenti potrà valutare se reputa questo tipo di insegnamento importante», spiega. Ma il solo parere degli insegnanti, non basterà. «Si dovrà proporlo alle famiglie – aggiunge la preside – Tattandosi di un’opzione, dovranno essere loro a scegliere». Per la dirigente, comunque, la questione è secondaria. Il modello Biscari – e le sue problematiche da affrontare – restano intatte.

Il dialetto in mezzo tra tradizione e integrazione? Entusiasti molti catanesi, perplessi gli stranieri marca Liotro d’adozione. Indifferenti i bambini, a cui l’iniziativa è rivolta. Abbiamo raccolto le loro opinioni nello storico mercato di Catania, a fera ‘o luni. Tra improbabili spalummamu stranieri e catanesi puristi della lingua: «E se le insegnanti non sono preparate in dialetto?».

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[Foto di giopuo]

desireemiranda

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