Niente voto. Il decreto Crescita doveva essere discusso e votato ieri (con la richiesta di fiducia da parte del governo), invece i due relatori – Giulio Centemero (Lega) e Raphael Raduzzi (M5s) – hanno chiesto un rinvio a oggi, con la possibilità di spedire di nuovo indietro il testo alle commissioni. Tutta colpa del meridione, sembra. Perché l’emendamento che sposta la competenza sui fondi europei per il Mezzogiorno alle Regioni, togliendola alla ministra per il Sud Barbara Lezzi, sembra che non sia piaciuto alla titolare del dicastero. Nonostante a votare favorevolmente la modifica siano stati anche i pentastellati, suoi compagni di partito.
Così, mentre il Partito democratico e Liberi e uguali parlano esplicitamente di una «crisi di governo», Centemero e Raduzzi fanno spallucce e ottengono, con 181 voti di scarto, lo spostamento della seduta a questa mattina. Poi, a dialogo gialloverde avvenuto senza fretta, si saprà se è necessario ricominciare la trafila o se, invece, si procederà col voto di fiducia. Catania, dunque, resta ancora col fiato sospeso e la scadenza per la conversione in legge è tra meno di dieci giorni.
La discussione a Montecitorio sul decreto legge comincia pigramente ieri mattina ma si conclude, dopo quasi 12 ore di seduta con poche interruzioni, intorno alle 19.30, quando è passata la linea di Centemero e Raduzzi che chiedevano di spostare tutto a oggi per non meglio precisate questioni tecniche. Suscitando un vespaio di polemiche. Dell’articolo 38, quello che contiene il Salva Roma e, soprattutto, il vero Salva Catania si parla poco. Chi lo cita con più veemenza è Stefano Fassina di Liberi e uguali, che ci tiene a sottolineare che «non è un Salva Roma, è Roma che salva gli altri Comuni, perché alla Capitale d’Italia vengono sottratte risorse».
Fatto vero, giacché i fondi per i Comuni capoluogo delle città metropolitane in dissesto (cioè Catania soltanto) devono arrivare dalla rinegoziazione favorevole dei mutui del Comune amministrato dalla pentastellata Virginia Raggi. Il fatto, però, resta: Roma viene aiutata, e Catania pure. Due piccioni – e forse di più – con una fava. E dietro a tutto c’è il sottosegretario leghista Stefano Candiani. Che forse mai si sarebbe aspettato, da leghista varesotto, di trovarsi a tirare per la giacchetta un Comune siciliano.
C’è chi racconta che senza il suo impegno, forse frutto di un corteggiamento serrato nei confronti del sindaco Salvo Pogliese (da poco orfano di Forza Italia), questi 475 milioni di euro non si sarebbero trovati. E c’è chi dice che sia stato lui a caldeggiare un altro aspetto del decreto Crescita di cui forse si è discusso poco: la possibilità di ottenere anticipazioni di tesoreria non più su due dodicesimi, bensì su sei. Nonostante qualche iniziale perplessità che pare sia stata mossa dagli uffici del ministero dell’Economia e delle finanze e dello staff della viceministra Laura Castelli.
A quest’ultima – e al lavoro di gruppo della senatrice Nunzia Catalfo, della deputata Simona Suriano e del neo-eurodeputato Dino Giarrusso – sarebbe da attribuire il merito di un’altra iniezione di denaro: il fondo da quasi 75 milioni di euro da ripartire sulle città metropolitane in dissesto o predissesto. Oltre a Catania, qualcun’altra ce n’è. Ma si tratta comunque di poco meno di una decina di milioni di euro all’anno, che non fanno certo male alla salute del liotro. Per questo sulla Camera dei deputati sono puntati gli occhi di Palazzo degli elefanti al gran completo. Il sogno di amministrare un Comune in dissesto ma pieno di denari elargiti a fondo perduto dallo Stato farebbe emozionare qualunque sindaco. Figurarsi quello che viene dopo un ex ministro dell’Interno.
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