Diritti in gioco: la questione dei professori a contratto

Nella recente assemblea nazionale del movimento studentesco e dei ricercatori si è messo in rilievo che le attuali forme di assegni di ricerca a sei mesi, un anno e altro, creano una forte subordinazione dei ricercatori, minando l’indispensabile indipendenza e respiro della ricerca. Queste forme di finanziamenti alla ricerca di brevissimo termine andrebbero sostituite da un contratto unico a tempo determinato della durata di almeno due anni rinnovabili.

Anche all’università di Catania abbiamo assistito a forme di mobilitazione del mondo del precariato universitario. Si fa strada tuttavia la convinzione che servano forme di mobilitazione molto più incisive e specifiche per le mansioni (dottorandi, assegnisti, docenti a contratto).

La questione dei professori a contratto è ancora fuori dal “fuoco” delle discussioni. Pubblichiamo perciò questa lettera sulla docenza a contratto, firmata da alcuni giovani storici di altri atenei, che risale a 6 mesi fa, cioè a prima che esplodessero le proteste nel mondo universitario.

Non tutte le facoltà e non tutti gli atenei hanno lo stesso problema di un utilizzo indiscriminato della figura del professore a contratto. Si profila però la necessità di ridurne il numero, contribuendo in questo modo alla riduzione dei corsi di laurea sforniti dei requisiti minimi e alla chiusura di inutili sedi decentrate; ma provvedendo d’altra parte a paghe dignitose, all’enucleazione di una serie di diritti, tra cui quello di partecipare a Consigli di Facoltà, e ad indennità di trasferimento.

[Se qualcuno che volesse aggiungere la propria firma al testo pubblicato da step1, è invitato a rivolgersi al seguente indirizzo: Giuliano Garavini (Roma) giuliano.garavini@tiscali.it]

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Nel panorama dell’università italiana prevalgono le ombre sulle luci. Non si tratta solo dell’età media di ricercatori e docenti, della continua immissione nel sistema universitario di dottorandi che non avranno mai una possibilità di trovare un impiego. Non si tratta solo di parlare della proliferazione anarchica di corsi di laurea e di sedi universitarie, delle lauree regalate solo per farsi pubblicità a personaggi come Valentino Rossi. Si tratta di capire come sia stato possibile arrivare a questa generale perdita di qualità e di attenzione all’istruzione universitaria.

Emblematica della degradazione del sistema universitario è la proliferazione della figura dei professori a contratto. L’istituto era stato creato con il Decreto n.242 del 1998 perché l’università potesse avvalersi di “studiosi ed esperti di comprovata qualificazione professionale”. L’idea era buona: riavvicinare l’università anche al mondo del lavoro e all’accademia straniera, inserendo in ogni corso di laurea uno o due docenti esterni, con specifiche competenze non facilmente reperibili tra chi si dedica strutturalmente all’accademia, e ovviamente retribuiti adeguatamente. Ne sarebbe forse derivato un ammodernamento dell’insegnamento, e un incremento di prestigio per l’università.

A forza di montarla, oggi però la crema è impazzita. Secondo le stime del MIUR la docenza a contratto incide ormai per il 30-40 per cento sui corsi di laurea, arrivando a comprendere un esercito di 48mila contrattisti. Questo a fronte di un totale fra ricercatori, associati e ordinari (gli strutturati) di 61.973 unità.

I professori a contratto svolgono, in sostanza, le stesse mansioni degli strutturati: insegnamento frontale, ricevimento degli studenti, esami, seminari, e questo per materie fondamentali e spesso obbligatorie anche nei primi anni di corso. Vengono formalmente valutati dagli studenti per il loro lavoro, percependo per questa attività compensi compresi fra gli 0 (è successo anche questo, ma la media è 400 euro) e un massimo 3000 euro lordi per un corso di 5 crediti o 5000 per uno di 10, che li impegna per tutto l’anno in almeno 4 sessioni di esami. Inoltre non sono previste né maggiorazioni, né alcuna detrazione di imposta per gli spostamenti spesso fra una regione e un’altra, non hanno diritto alla mensa e quasi mai hanno un ufficio cui appoggiarsi, quindi devono pagare in proprio ogni spesa per la preparazione dei corsi: fotocopie, stampe, telefonate.

Essi inoltre non hanno diritto a fondi di ricerca, anche se spesso sono nella fase della propria carriera accademica in cui ve ne sarebbe più bisogno. Le voci nel bilancio universitario riguardanti il 2005 riflettono bene questa situazione. Infatti nel 2005 le spese per il personale docente “a tempo indeterminato” sono state pari a 3.364.305.000 euro, mentre quelle per il personale docente “a tempo determinato” sono state di 165.340.000. In altre parole: a fronte del fatto che i docenti a contratto sono in numero pari all’80 per cento dei docenti strutturati, la spesa nei loro confronti è pari a circa il 4 per cento di quella prevista per i colleghi strutturati.

E’ nostra convinzione che un’università di qualità non possa basarsi solo sull’entusiasmo e la passione intellettuale di giovani, e meno giovani, ricercatori e professionisti sottopagati e totalmente subalterni. Se in alcune università, non solo a Bari ma anche nel Nord, la scandalosa rapacità di alcuni professori ha portato a vendere i voti degli esami, come non si può correre lo stesso rischio pagando una miseria personale precario? Ad importanti responsabilità devono corrispondere compensi adeguati, e se queste responsabilità vengono ritenute troppo impegnative per affidarle alla scarsa esperienza di giovani e professionisti, non bisogna affidarle all’esterno solo per far risparmiare soldi alle università e lavoro ai docenti strutturati.

A noi non sembra che il tema all’ordine del giorno sia, e neanche che dovrebbe essere, quello di una “stabilizzazione” generalizzata di chi ha un contratto, anche se è vero che nei prossimi 10 anni è prevista la cessazione di attività di circa 30mila professori. Certo è che il flusso dei dottorandi va regolato, che il ritmo di assunzione deve aumentare, tenendo conto in primo luogo della qualità dei nuovi assunti e secondo norme che guardino in primo luogo a questa qualità. Nel frattempo però si pone il problema di sfoltire il numero dei contrattisti e allo stesso tempo retribuire a livelli decorosi coloro che hanno requisiti sufficienti, visto che non esiste alcun impiego in cui per svolgere la stessa mansione di un suo collega un lavoratore venga pagato 50 volte meno. Ciò non è accettabile nelle fabbriche, non è accettato nel settore dei servizi, non è accettabile nei ministeri, né dovrebbe essere accettato per l’insegnamento universitario, che è un lavoro come un altro.

L’invito è dunque quello di far pressioni sui Presidi di Facoltà perché razionalizzino l’uso dei contrattisti e, nel caso si vogliano avvalere delle loro competenze, perché si adoprino per allineare il salario, e anche le materiali condizioni di lavoro, a livelli compatibili con l’eguaglianza e dignità del lavoro: richiesta riportata in numerosi articoli della nostra Costituzione. Siamo convinti che di questo non potrebbero che beneficiare sia gli studenti che l’intero sistema universitario finora teso solo alla sua espansione a discapito della qualità; al risparmio piuttosto che alla motivazione degli elementi che lo compongono, che incentiva una crescente soggezione da parte dei giovani ricercatori nei confronti dei professori dai quali dipende la loro carriera.

Non si può aspettare che la pentola di questa massa di personale senza diritti e senza salario esploda in maniera imprevedibile.

FIRME
Duccio Basosi, professore a contratto, Università di Firenze
Lorenzo Benadusi, post-doc fellow, Brown University
Emanuele Bernardi, assegnista di ricerca, Università “La Sapienza”
Giovanni Bernardini, assegnista di ricerca, Università di Padova
Lucia Bonfreschi, assegnista di ricerca, Luiss-Guido Carli, Roma
Bruno Bonomo, professore a contratto, Università della Tuscia
Mauro Campus, dottore di ricerca, Università di Firenze
Massimiliano Cricco, professore a contratto, Università di Urbino
Michele De Gregorio, dottore di ricerca, Università di Teramo
Giuliano Garavini, professore a contratto, Università della Calabria
Matteo Gerlini, professore a contratto, Università di Firenze
Alexander Hobel, dottore di ricerca e Borsista INMLI
Fabrizio Loreto, assegnista di ricerca, Università di Teramo
Marzia Maccaferri, assegnista di ricerca, Università di Modena e Reggio Emilia
Guia Migani, assegnista di ricerca, Università di Padova
Chiara Lucrezio Monticelli, dottore di ricerca, Universita di “Tor Vergata”, Roma
Simone Paoli, assegnista di ricerca, Università di Padova
Elena Papadia, professore a contratto, Università di Perugia
Daniel Pommier, professore a contratto, Università “La Sapienza”
Angela Romano, assegnista di ricerca, Università di Firenze

Redazione Step1

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