La Direzione nazionale antimafia su Cosa nostra «Camorrizzazione? Resta la struttura piramidale»

La mafia siciliana continua a mantenere salde le proprie caratteristiche ed è da escludere una trasformazione in chiave camorristica. Il chiarimento è contenuto nella relazione annuale pubblicare dalla Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo, che ripercorre le attività di contrasto alla criminalità organizzata effettuate nel periodo che va da luglio 2015 a giugno 2016. Parte da questa considerazione l’approfondimento sulla ramificazione di Cosa nostra nelle nove province, con la Dna che senza fare espliciti riferimenti mette in guardia dal ragionare su mutazioni in seno all’organizzazione. «Le indagini continuano ad avvalersi dell’apporto fondamentale offerto dai collaboratori di giustizia, che hanno fornito informazioni di grande importanza sugli attuali assetti organizzativi delle consorterie mafiose confermandone la struttura unitaria e piramidale e il mantenimento delle tradizionali regole interne – si legge -. Tali informazioni smentiscono ancora una volta talune indicazioni operate da altri osservatori del fenomeno mafioso che teorizzano una sorta di camorrizzazione dell’organizzazione mafiosa e un suo inarrestabile declino».

In tal senso, di affara Cosa nostra continua a farne molti, mantenendo sostanzialmente inalterati i propri business. Dal pizzo – settore nel quale tuttavia «vengono registrati incoraggianti atteggiamenti di rifiuto da parte delle vittime» – alla droga, che rappresenta un mercato tra i più floridi con le famiglie pronte a stringere rapporti con altre organizzazioni italiane ed estere. Passando per gli appalti che per gli investigatori rimane il settore dove Cosa nostra attua la più forte «opera di infiltrazione», cercando di condizionarne gli iter di aggiudicazione attraverso agganti nella pubblica amministrazione e «in particolare nell’ambito degli enti locali».

Nella fotografia della Dna, si pone attenzione su come Cosa nostra continui a organizzare la propria attività facendo riferimento al «rispetto delle regole della stessa», sia per quanto riguarda le procedure per affiliare nuovi componenti che per quanto concerne la gestione del potere nei singoli territori. In quest’ottica va rilevato come all’interno dell’organizzazione, convivano una costituzione formale e una materiale. Quest’ultima rappresenta una gestione fortemente influenzata dalle scelte dei capi «a prescindere dal rispetto delle regole», con la prima – che richiama i principi fondativi e a loro modo statuari dell’organizzazione – che invece entra in gioco quando i capi vengono meno, in seguito alle operazioni delle forze dell’ordine. È proprio in questa fase di vacatio – peraltro non lunga, con Cosa nostra che continua a dare prova della capacità di riorganizzarsi in breve tempo – che la mafia farebbe riferimento al codice non scritto su cui si poggia.

Passando alle analisi dei singoli territori, la provincia di Palermo rimane quella con maggiore attività. Divisa in 15 mandamenti – dei quali otto in città e sette in provincia – di recente registra il «ritorno in scena di personaggi già coinvolti in pregresse vicende giudiziarie che, noti in passato come figure non di primissimo piano negli organigrammi mafiosi, scontata la pena, si ritrovano a occupare le posizioni di preminenza lasciate libere dai boss di maggior calibro». Allla recidività del reato di associazione mafiosa, che ritorna con una frequenza importante, la relazione dedica una riflessione: «Deve auspicarsi un maggiore ricorso alla richiesta ed alla adozione nella sentenza dell’affermazione di delinquente abituale ai sensi dell’articolo 109 del codice penale», si legge nel documento.

In tema di latitanti, il principale riferimento rimane il bosso di Castelvetrano, Matteo Messina Denaro, descritto come rappresentante provinciale del mandamento trapanese, capace comunque di estendere «la propria influenza ben al di là dei territori indicati». In tal senso, la sua cattura potrebbe significare non solo la venuta meno di un punto di riferimento ma anche costituire un duro colpo a Cosa nostra «anche in termini simbolici». Nel Trapanese, le 17 famiglie mafiose – riunite in quattro mandamenti – risultanto particolarmente attive nel reinvestimento dei proventi in forme «apparentemente lecite», puntando sui prestanome e su società create all’occorrenza, con un interesse spiccato per il settore delle forniture nel ramo dell’edilizia

Spostandosi più a sud, in provincia di Agrigento, la struttura mafiosa risulta pressoché immutata rispetto alla precedente relazione della Direzione nazionale antimafia, con le famiglie che spesso operano nei singoli paesi. Anche in questo caso, il settore edile è quello che maggiormente stimola gli appetiti di Cosa nostra. «Le ditte riconducibili alle organizzazioni mafiose – descrivono gli inquirenti – costringono i titolari di impianti di calcestruzzo a rifornirsi di inerti presso le loro imprese o presso imprese a loro riconducibili, impedendo alle vittime di decidere persino il quantitativo da acquistare o di fare una valutazione sulla convenienza del prezzo e sulla qualità del materiale». 

Nella parte orientale dell’Isola, Cosa nostra catanese continua a ramificarsi nelle tre principali famiglie: SantapaolaErcolano e quelle attive nei territorio di Caltagirone e Ramacca. La relazione passa inoltre in rassegna le attività di tutti i gruppi criminali che in vario modo hanno rapporti con le famiglie, anche nel caso – per esempio dei Laudani – non siano ufficialmente interne a Cosa nostra. Qui gli affari riguardano in particolare modo «il settore della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti e quello dei mercati agroalimentari». Oggetto di numerose operazioni antimafia è stata la provincia di Messina, con i principali esponenti che «nonostante le pesanti condanne riportate in passato per partecipazione ad associazione mafiosa e la conseguente detenzione sofferta» continuano a essere considerati i leader dell’organizzazione nelle varie zone del territorio.

A Caltanissetta, Cosa nostra convive con la Stidda, che rimane comunque seconda organizzazione criminale influente soprattutto nei comprensori di Gela e Niscemi. Qui la spartizione dei proventi illeciti avviene in maniera praticamente equa. L’Ennese, infine, si conferma territorio di interesse sia per la mafia nissena che per quella etnea. Una dimostrazione, in tal senso, arriva dall’operazione Discovery che ha colpito il gruppo attivo a Troina. Dalle indagini è emerso come il leader Davide Schinocca facesse esplicito riferimento a esponenti mafiosi di Aci Catena

Simone Olivelli

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