Una petizione aperta a tutto il mondo accademico per chiedere una proroga di tre mesi sulla consegna del nuovo Statuto dell’Università di Catania in Senato, per favorire il dibattito e la partecipazione di tutte le componenti universitarie alla sua stesura definitiva e l’annuncio di una possibile azione legale contro l’amministrazione centrale per ottenere la retribuzione aggiuntiva dei ricercatori che si occupano anche di didattica frontale, sancita dall’art. 6 comma 4 della legge 240. Questo quello che è emerso dall’assemblea organizzata mercoledì nell’aula magna di Scienze Politiche dal Coordinamento unico d’Ateneo, in cui, a sei mesi dall’approvazione della legge Gelmini, si è discusso dei problemi e delle criticità accentuate dalla nuova riforma, in particolare nell’università etnea.
Uno dei punti focali su cui il Coordinamento vuole tenere viva l’attenzione è la stesura del nuovo statuto. La rete dei ricercatori torna a contestare, la poca trasparenza, la chiusura e l’antidemocraticità della nomina dei costituenti e dell’intero iter dei lavori di scrittura. Dopo una breve cronistoria sulle vicende dei mesi scorsi -dalla nomina lampo della commissione tra le polemiche, alla controversia con i presidi “dissidenti” sull’omogeneità dei dipartimenti, fino alla possibilità, subito sfumata, degli stessi presidi di ricorrere al Tar per illegittimità della procedura- i ricercatori hanno rilanciato contrapponendo le loro proposte e mettendo sul piatto quale, secondo loro, sia stato il vero “pomo della discordia”, ovvero la riorganizzazione dei dipartimenti. Il prossimo 30 luglio la commissione presenterà il nuovo statuto, di cui è già stata scritta una prima bozza “nata da un ping pong esclusivo con il Senato Accademico”. Eppure un modo per ottenere più partecipazione ci sarebbe: secondo l’articolo 2 comma 6 della legge 240, la commissione può richiedere infatti tre mesi extra rispetto ai sei richiesti per la consegna dello statuto, per ultimarne i lavori. “Serve qualcosa di forte – ha detto la prof.ssa Renis di Farmacia – per aprire un dibattito pubblico, indetto dallo stesso Rettore e aperto a tutto l’Ateneo, prima che lo statuto sia licenziato” proponendo la mozione di una raccolta firme, approvata all’unanimità per “chiedere una proroga e mantenere viva la discussione almeno fino a settembre”.
Nel corso dell’incontro, a cui oltre ai ricercatori hanno preso parte numerosi docenti, studenti e rappresentanti sindacali della FLC CGIL, si è discusso anche dei ricorsi al Tar presentati mesi fa da professori e ricercatori sul blocco degli scatti stipendiali, nonché del nuovo regolamento approvato dall’università di Catania sugli assegni di ricerca, fortemente contestato dai ricercatori precari che hanno già provveduto, in accordo con il sindacato, a ricorrere al tribunale amministrativo regionale per eliminare i limiti di età imposti per accedere al bando di assegnazione. La vertenza legale è partita dopo una proposta di norma transitoria, a cui però l’amministrazione centrale si è dimostrata sorda. “Abbiamo preso una posizione giuridicamente forte –ha spiegato Chiara Rizzica, ricercatore precario e rappresentante FLC CGIL. Il regolamento sugli assegni di ricerca a Catania è più ‘gelminiano’ della legge Gelmini che non parla di limiti di età, ma solo di merito, oltre ad avere un taglio discriminatorio che si basa su limite anagrafico travestito da anno di laurea, e non sul curriculum del singolo”. E continua: ”non solo è illegittimo, ma è anche inutile perché mette in crisi progetti di ricerca già avviati, esperienza acquisita e fondi investiti. Non produce nulla se non paralisi di qualità ed efficienza”.
L’assemblea di martedì ha messo in luce inoltre la volontà dei ricercatori di ruolo di ottenere le retribuzioni aggiuntive obbligatorie per chi, oltre alla ricerca, si occupa anche di tenere corsi e moduli curriculari, in base a quanto sancisce, come già detto, l’art. 6 comma 4 della legge 240/10.
L’attuale regolamento catanese si basa su una nota del 2 maggio in cui si stabiliscono i criteri di retribuzione per l’anno 2009/2010 e che fissa una sorta di “franchigia”: l’insegnamento esercitato dai ricercatori è gratuito fino a 6 o 9 cfu, a discrezione della facoltà, e l’eventuale retribuzione extra va da 300 a 600 euro a credito, criterio anch’esso determinato dalla facoltà o dalla futura struttura dipartimentale d’appartenenza. Il Coordinamento ne contesta la discrezionalità, nonché il mancato diritto alla retribuzione che spetta a tutti i lavoratori. Anche il CUN ne ha stabilito l’assoluta obbligatorietà. “Non lo facciamo per i soldi –spiega il prof. Attilio Scuderi di Lingue- ma per il riconoscimento di un sacrosanto diritto giuridico”. Per questa ragione, è stato inviato al Rettore un documento, redatto in collaborazione con la FLC CGIL, in cui si chiede all’amministrazione centrale di ritirare la così detta “nota di maggio” e di aprire una trattativa con i ricercatori. “Attenderemo per tre giorni una risposta dal Magnifico. Se entro la scadenza non dovessero pervenire segni di apertura, impugneremo l’attuale regolamento e appoggeremo un’azione legale” conclude Scuderi.
In chiusura si è dato spazio anche agli studenti, approfondendo il tema del diritto allo studio, sempre meno garantito nelle università italiane a causa dell’aumento delle tasse e dei tagli alle borse di studio, e accentuate da una riforma che sacrifica la qualità e il diritto al sapere a favore di logiche finanziarie; inoltre, si è preso spunto per discutere anche del nuovo regolamento della Scuola Superiore, vittima anch’essa di tagli e limitazioni, del trasferimento della facoltà di Lingue a Ragusa, con il consequenziale accorpamento dei corsi linguistici catanesi alla facoltà di Lettere, e delle ultime vicende che hanno interessato radio Zammù, passata recentemente sotto il controllo di altri editori. Ma questa è un’altra storia, di cui torneremo ad occuparci.
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