La procura di Caltanissetta, che ha istruito il processo per il depistaggio delle indagini sull’attentato al giudice Paolo Borsellino e agli agenti della scorta, ha trasmesso una tranche dell’inchiesta ai colleghi messinesi perché accertino, se nella vicenda, ci siano responsabilità di magistrati. L’invio degli atti a Messina, reso noto stamattina da Repubblica Palermo con un articolo a firma del giornalista Salvo Palazzolo, sarebbe finalizzato a capire se nel depistaggio abbiano avuto un ruolo anche i magistrati inquirenti di Caltanissetta che ordinarono l’inchiesta.
Il quarto processo sulla strage di via D’Amelio si è concluso lo scorso aprile, con l’ergastolo per i boss Salvo Madonia e Vittorio Tutino, ritenuti responsabili della strage, e dieci anni per i falsi pentiti Francesco Andriotta e Calogero Pulci, accusati di calunnia. La stessa contestazione era rivolta a Vincenzo Scarantino la cui posizione è stata invece prescritta. Nelle motivazioni della sentenza, pubblicate a luglio, si ricostruisce quello che viene definito «uno dei più grandi depistaggi della storia d’Italia», grazie a falsi pentiti, imbeccati da uomini dello Stato, ansiosi di consegnare all’opinione pubblica dei colpevoli dopo la mattanza di Cosa nostra del 19 luglio 1992.
Chi spinse i falsi pentiti – tra cui Scarantino – ad accusare Salvatore Profeta, Gaetano Scotto, Cosimo Vernengo, Natale Gambino, Giuseppe La Mattina, Gaetano Murana e Giuseppe Urso (tutti condannati e poi scagionati) di aver partecipato, a vario titolo, alle fasi preparatorie ed esecutive dell’attentato di via D’Amelio? Da questa domanda sono ripartite le indagini all’indomani della sentenza del Borsellino quater. La Procura di Caltanissetta ha indagato, ottenendo il rinvio a giudizio per calunnia aggravata, tre poliziotti che gestirono Scarantino: il funzionario Mario Bo e gli ispettori Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo. A guidare questo pool è stato l’ex capo della squadra mobile di Palermo (e – ma si è scoperto solo recentemente – a servizio anche dei servizi segreti italiani) Arnaldo La Barbera, che è morto nel 2002.
Adesso arriva il nuovo tassello, valutare l’operato dei magistrati che condussero quell’indagine: si tratta di Giovanni Tinebra, morto l’anno scorso; Annamaria Palma, oggi avvocato generale di Palermo; Nino Di Matteo, da poco passato dalla Dda di Palermo alla Procura nazionale antimafia, e Carmelo Petralia, allora procuratore aggiunto a Caltanissetta e oggi procuratore aggiunto a Catania. «Alcuni atti – ricorda Repubblica – furono firmati pure dall’allora procuratore aggiunto Francesco Paolo Giordano e dal sostituto Fausto Cardella. All’indagine venne applicata Ilda Boccassini, che proveniva da Milano, ma poi andò via perché non credeva più alla collaborazione di Vincenzo Scarantino».
Delle loro posizioni si occuperà la Procura di Messina e non quella di Catania, come prevede la legge per i casi in cui sono coinvolti magistrati della sede nissena, proprio perché a Catania al momento lavora uno dei diretti interessati, cioè Petralia.
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