La svolta alle indagini potrebbe arrivare 27 anni dopo quel torrido 9 agosto 1991, quando i sicari spararono verso la macchina su cui viaggiava Antonio Scopelliti. Giudice, originario di Campo Calabro in provincia di Reggio Calabria, che si sarebbe dovuto occupare in Cassazione dei ricorsi dopo il maxi processo a Cosa nostra. «L’arma del delitto è stata trovata pochi giorni fa in provincia di Catania. Si ritiene sia quella utilizzata per uccide il magistrato». A dare la notizia, che arriva nel giorno dell’anniversario del delitto, è il procuratore capo di Reggio Calabria Giovanni Bombardieri. Sull’arma, secondo quanto viene comunicato, sarebbero ancora in corso «ulteriori accertamenti utili come riscontri».
Il fucile è stato recuperato sotto terra all’interno di un fondo agricolo in provincia di Catania. «Il sequestro – prosegue il procuratore reggino – costituisce un importante passo avanti nella ricostruzione degli avvenimenti per cui si procede ed apre nuove e significative prospettive d’indagine, confermando, al contempo, recenti intuizioni investigative». Riferimento a quanto avvenuto nel 2012, quando il pentito di ‘ndrangheta Antonino Fiume ha raccontato il ruolo di Cosa nostra siciliana dietro l’uccisione del giudice. Dietro il delitto, che sarebbe stato commesso da due calabresi, si sarebbe celato l’accordo tra mafie del Sud. Una cortesia da parte della ‘ndragheta ai padrini di Palermo.
Il magistrato venne ucciso dopo avere trascorso una giornata a mare. Lungo il tragitto per rientrare a casa si ritrovò faccia a faccia con i suoi killer. Appostati lungo la strada che conduceva a Campo Calabro spararono alcuni colpi da un fucile a canne mozze calibro 12. Colpito alla testa il giudice finì con la sua auto in un dirupo. Per il delitto Scopelliti si sono celebrati anche alcuni processi ma non è mai stato individuato un colpevole o un mandante. Alla sbarra sono finiti i boss di Cosa nostra Totò Riina, Nitto Santapaola e Bernardo Provenzano. A indicare la pista palermitana era stato anche Giovanni Falcone.
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