Delitto Angelo Manca, Antonio Ingroia va all’attacco «Nascondono i legami con la trattativa tra Stato e mafia»

L’avviso di garanzia nelle vesti di avvocato della famiglia di Attilio Manca, l’urologo di Barcellona Pozzo di Gotto assassinato in circostanze misteriose (o quasi). I depistaggi. La Giustizia. Il boss di Cosa nostra Bernardo Provenzano. I Servizi segreti deviati. I collegamenti tra il delitto Manca e il processo sulla trattativa tra Stato e mafia. Sono stati tanti gli argomenti affrontati stamattina, a Palermo, nel corso della conferenza stampa tenuta da Antonio Ingroia e dai familiari del medico siciliano ucciso, con in testa la mamma, Angela Manca. 

L’appuntamento era alle 11.30 al centro Biotos. Ingroia è arrivato con circa mezz’ora di ritardo. Questo cu permette di scambiare qualche idea con la mamma e il papà di Attilio Manca, l’urologo che nei primi anni del 2000 ha curato il boss Bernardo Provenzano, portato da lui, a quanto pare, da uomini dei Servizi segreti deviati che si occupavano della salute del boss.  

Storia nota, visto che è stata raccontata da giornali e tv, a cominciare da una bella puntata di Chi l’ha visto?, la nota trasmissione televisiva. Ovviamente, lo Stato italiano – o meglio, quella parte di Stato che è Stato a tutti gli effetti, che tratta con la mafia e che forse è anche mafia – non può accusare se stesso: e quindi cerca di negare anche l’evidenza. Ma ormai la storia è di dominio pubblico ed è convinzione comune non solo che Provenzano sia stato curato dal bravissimo dottore Angelo Manca – che avrebbe seguito il boss anche a Marsiglia – ma che, a un certo punto, per motivi ancora non chiari, i Servizi deviati abbiano deciso di sbarazzarsi dello stesso dottore Manca. Perché?

Proviamo a chiederlo alla mamma Angela (nella foto sopra con il pm Nino Di Matteo e il marito Gino Manca) in attesa che arrivi Ingroia. «Intanto – spiega – dico subito che mio figlio Attilio non l’ha fatto ammazzare Provenzano. Non avrebbe avuto senso. Anzi, sono convinta che il boss era riconoscente verso mio figlio che l’aveva ben curato. Mio figlio muore per mano dei Servizi segreti deviati. Perché? Perché, evidentemente, Attilio, che non era affatto ingenuo, aveva capito tutto e avrà detto a questi signori che non avrebbe mai più voluto avere a che fare con loro. E questi ultimi, temendo di essere riconosciuti, l’hanno ammazzato. Sono le stesse persone che hanno fatto sparire dai tabulati la telefonata, l’ultima telefonata di mio figlio a me. Questi signori fanno questo ed altro. Non sono affatto stupita».   

Angela Manca ci racconta anche della Segreteria del gabinetto della Presidenza della Repubblica «che chiamava la Procura della Repubblica per avere notizie sul caso di Attilio Manca. Ma se l’immagina? La presidenza della Repubblica…». 

Finalmente arriva Ingroia. Più scoppiettante che mai. Con in tasca l’avviso di garanzia che gli ha notificato la Procura della Repubblica di Viterbo. Per la cronaca, il processo per la morte di Angelo Manca è finito a Viterbo, città che a noi siciliani evoca antiche risonanze: il processo per la strage di Portella della Ginestra e le verità ancora seppellite negli archivi del Ministero degli Interni. Pensate: gli americani e lo stesso Putin hanno ormai aperto gli archivi con gli imbrogli e i delitti di quegli anni: in Italia, invece, i segreti di Stato – o di Pulcinella, a seconda dei punti di sta – resistono all’incedere del tempo. 

Insomma, per non divagare, il processo per l’assassinio dell’urologo è finito a Viterbo. Dove sembra sia in corso una ricostruzione un po’ creativa dei fatti. In questa fase, infatti – ma siamo in piena evoluzione – sarebbe stato stabilito che Angelo Manca è morto per droga, inibendo alla famiglia – difesa dal neo avvocato Ingroia – di costituirsi parte civile. «Una farsa – dice Ingroia, che ha lasciato la magistratura per fare, appunto, l’avvocato -. Dovevano seguire un canovaccio. E lo stanno facendo». 

Nel Paese delle stragi impunite, delle bombe per i magistrati ficcanaso, nell’Italia di oggi nella quale il Papa Borgia sarebbe apparso come un novizio, dopo aver infrusato la verità sull’omicidio i Stefano Cucchi ci vorrebbero provare anche con Angelo Manca. Funzionerà anche stavolta?

La famiglia Manca non ci sta. E non ci sta nemmeno Ingroia, che ha parlato senza mezzi termini di tentativi di «depistaggio». Da qui l’avviso di garanzia spedito allo stesso Ingroia. Con l’accusa di calunnia. L’ex pubblico ministero, da parte sua, reagisce definendo chi l’accusa «analfabeti del Diritto». Citando l’articolo 598 del Codice penale che, spiega l’ex pm, non prevede punizioni per le parole pronunciate dalle parti davanti l’autorità giudiziaria. In un processo l’avvocato può andare giù duro, ma non può certo essere messo sotto accusa per calunnia. 

Ingroia, oggi, ha smontato, uno per uno tutti i tentativi, in verità un po’ goffi, messi in campo non si capisce bene da chi per negare la presenza del dottore Manca a Marsiglia nei giorni in cui Provenzano era lì a curarsi. A conti fatti, lo Stato italiano, attraverso i suoi rappresentanti, sta provando in modo approssimativo a negare un fatto che ormai conoscono tutti. Forse per evitare che il caso di Attilio Manca si ricolleghi al processo sulla trattativa tra Stato e mafia?

«Ma il collegamento c’è – ha detto Ingroia – perché parliamo di Provenzano, della mancata cattura dello stesso Provenzano, ovvero di un personaggio che è legato al contesto e ai fatti di quegli anni. Tant’è vero che abbiamo già chiesto alla Dda di Palermo di aprire un’inchiesta sul caso di Attilio Manca. Ormai – ha aggiunto l’ex Pm – è arrivato il momento di dirlo: non si vuole la verità sul caso di Attilio Manca perché si vuole colpire il pm del processo sulla trattativa tra Stato e mafia. Lo ribadisco: l’omicidio di Manca è collegato alla trattativa tra Stato e mafia. Provenzano, in quegli anni, andava lasciato in vita. Questo spiega l’interesse della mafia e dei Servizi segreti deviati. Manca è entrato in questa vicenda a sua insaputa. Poi si è posto il problema. Si spaventavano che parlasse. E l’hanno eliminato».

Chi l’ha eliminato? Ingroia allarga le braccia: «La mafia non agisce così. La sua morte è opera di altri settori. Lo scenario è quello della trattativa. Non è un caso che stia crescendo l’isolamento del pm Nino Di Matteo». 

Poi l’appello a Rosy Bindi, presidente della Commissione nazionale Antimafia. «Chiederò all’Antimafia di essere ascoltato». Mamma Angela Manca annuisce: «Abbiamo conosciuto Rosy Bindi. Abbiamo fiducia in lei».  

Resta l’avviso di garanzia. «Dal quale mi difenderò in tutte le sedi», replica ancora Igroia. Che aggiunge: «Vedremo come finirà. Avverto chi mi ha querelato per calunnia che è in buona compagnia. Hanno fatto la stessa cosa Bruno Contrada, Marcello Dell’Utri, Silvio Berlusconi. E sono ancora qui».  

In effetti dei tre che ha citato, due sono in galera. Sul terzo non commentiamo.      

   

  

Giulio Ambrosetti

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