«Non ce la facciamo più, siamo allo stremo e dimenticati da tutti. Sulu a Catania ‘ama stari comu i porci». La categoria dei pescatori in città c’è e si fa sentire. Sono per lo più abitanti del centro storico. Vengono da San Cristoforo e il loro lavoro è da sempre il mare. Si sono riuniti questa mattina in un’assemblea pubblica per denunciare lo stato di degrado e abbandono del porto di Catania. Tra i presenti, oltre i componenti delle associazioni dei pescatori, anche i rappresentanti politici di Sinistra Ecologia e Libertà (Sel) e di Rifondazione Comunista.
«Il porto è utilizzato per tutto, fuorché per le attività dei pescatori – commenta Giovanni Vindigni di Sel – Dobbiamo ripensare all’agricoltura, alla pesca e al turismo se si vuole rilanciare l’economia della Sicilia. I pescatori hanno bisogno del sostegno delle istituzioni. Basterebbe che la Regione togliesse le accise sui carburanti e desse la possibilità di avere dei crediti facilitati». Si tratta di preservare una categoria che rappresenta, secondo Vindigni, il passato e il futuro dell’economia isolana. Eppure, troppo spesso, dimenticata.
«Mancano i punti d’attracco per i pescherecci, mancano anche i servizi igenici e il porto – lamentano i pescatori – è utlizzato soprattutto per lo scarico e il carico delle merci. Chi, giorno per giorno, vive del pescato è ridotto alla fame e costretto a lavorare in condizioni di abbandono e degrado». «Il pescatore è diventato quasi un ospite dentro il porto. E, se vuole lavorare, si deve arrangiare perché qui manca tutto», racconta Fabio Micalizzi, presidente regionale dell’associazione pescatori marittimi e professionali. «Chiediamo punti luce e acqua, punti di ormeggio e attracco sicuro per i pescherecci, la videosorveglianza, i cassonetti per la raccolta differenziata e le isole ecologiche per gli oli di scarico. Così non possiamo più andare avanti».
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