De Biase: ‘Il giornalismo studentesco è il senso dell’Università’’

De Biase, secondo lei qual è il ruolo svolto dalla stampa universitaria all’interno di un Ateneo?
“Io credo che le forme della stampa universitaria siano molto diverse tra di loro, quindi il ruolo di ciascuna di queste forme è diverso. Una cosa è certa: gli studenti che fanno questa esperienza, fanno un passaggio di maturazione in più nel loro ruolo sociale, nelle loro competenze e nella sperimentazione di quello che sono capaci di fare. Se vuoi, questo è un lato formativo (è poi questo il senso dell’Università) che sicuramente quelli che fanno stampa universitaria si portano a casa. Dopodiché sta alla singola testata dimostrare l’influenza della stampa universitaria sulle decisioni dell’Università, sulla consapevolezza degli studenti che leggono dei fatti che avvengono nell’Università. A fronte, però, di alcuni giornali che sono finiti, ne sono nati di più e questo significa, in sostanza, che i lettori e la voglia di fare dei giornali universitari comunque sono in crescita”.

Com’è considerata la stampa universitaria da quella “istituzionale”? Come una vena da cui spremere idee, notizie, informazioni, senza poi citare la fonte da dove queste sono state prese, o piuttosto come una risorsa di competenze e un canale attraverso cui selezionare i giornalisti di domani?
“Innanzitutto le fonti vanno citate sempre e questa è la distinzione tra la stampa tradizionale corretta e la stampa tradizionale meno corretta. Quello che la stampa tradizionale può prendere da queste esperienze, naturalmente, sono le notizie, le informazioni e l’impressione dell’importanza dei dibattiti che gli studenti portano avanti all’interno dell’Università. Oltretutto ci sono delle vere e proprie inchieste, delle vere e propri smentite di notizie, che sono venute dalla stampa universitaria [basti pensare alla “bufala” dei rom ladri di bambini smontata da Step1,  periodico telematico di informazione e palestra di giornalismo dell’Università di Catania, di cui si può trovare una sintesi su http://lab.nova100.ilsole24ore.com/giornali, NdR] e che devono essere prese in considerazione come tutte le altre notizie. In questo momento noi abbiamo molte organizzazioni editoriali, piccole e grandi, che producono informazione e l’evoluzione di questo insieme è positiva se le piccole e le grandi si rafforzano a vicenda, essendo le grandi dotate di tanto traffico e le piccole dotate di tanta competenza su particolare temi. Se lavorano insieme, le piccole e le grandi organizzazioni editoriali si rafforzano, specialmente in un mondo fatto di reti, un mondo nel quale le logiche sono quelle della Rete e quindi di Internet. Dal momento che i giornali tradizionali con le loro forme gerarchiche si trovano in qualche misura in difficoltà e devono ridefinire le loro strategie, la voglia di collaborare tra queste diverse entità crescerà”.

Concludiamo con una domanda sull’accesso alla professione di giornalista. Si dice sempre che quello dell’informazione è mercato bloccato, dove si entra solo se raccomandati. Davanti a chi vorrebbe fare questo mestiere, giornalisti più o meno affermati non fanno che ripetere: “Lasciate stare. Andate a fare altro”. Stanno davvero così le cose?
“Guarda mi trovo anch’io in questa situazione quando vado a fare un piccolo corso in un Master in Giornalismo: arrivo sempre dopo molti altri professori che hanno detto agli studenti che la loro carriera sarà difficile, che questo è un momento difficile. Io mi trovo sempre a fare la parte, diciamo, non dico dell’ottimista, perché non è il mio caso, ma semplicemente di quello che vede le opportunità che si aprono, oltre a quelle che si chiudono. La prima cosa che bisogna capire è che il sistema dei media tradizionali è davvero in crisi e quindi se noi facessimo corsi per diventare mercanti del ghiaccio, i nostri studenti alla fine non troverebbero lavoro, perché i mercanti di ghiaccio non ci sono più da quando ci sono i frigoriferi. La stessa cosa non è proprio uguale per i giornalisti, però lentamente, ma inesorabilmente, il sistema dei media tradizionali si sta trasformando, in maniera tale che i vecchi mestieri diventano davvero sempre meno e quindi si devono trovare dei nuovi modi per fare quei mestieri, ma il bisogno d’informazione è tale e quale a prima, se non più grande. Quindi il problema è trovare il modo di soddisfarlo, ma o prima o poi lo si trova. Non è più un mestiere sicuro, è vero, ma ormai non è più sicuro neanche andare in banca”.

Matteo Brighenti (L?UniversitArea)

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