Errori nel tema su Dante? Ma neanche per sogno. Secondo il Ministero della Pubblica Istruzione, lo sfondone che ha scandalizzato studenti, studiosi e professori non c’è mai stato. Cancellato col bianchetto delle smentite, che ieri sera sono arrivate puntuali e imbarazzate. A metterci la firma è stata Mariangela Bastico, viceministro dell’Istruzione e, all’occasione, improvvisata dantista. Una precisazione netta, che non lascia margini di equivoco.
L’errore non c’è, sostiene la Bastico. La traccia «ha inteso proporre in maniera corretta e puntuale e nel più rigoroso rispetto del testo del Poeta la figura di San Francesco d’Assisi». E se non c’è l’errore, allora hanno torto tutti gli altri. Compreso Guglielmo Gorni, presidente della Società Dantesca Italiana, che ieri ha parlato di «faciloneria» del Ministero ed ha accusato: «Con questo errore è stata falsata la prospettiva ideologico-religiosa di Dante».
Qual è, dunque, il problema? La traccia distribuita ieri aveva per oggetto l’undicesimo canto del Paradiso, nel quale un grande teologo domenicano, san Tommaso d’Aquino, tesse l’elogio di San Francesco d’Assisi, fondatore di un ordine religioso considerato spesso rivale del suo. Nella traccia del Ministero, però, a san Tommaso veniva attribuita anche la descrizione di san Domenico da Guzman, fondatore dell’ordine cui lo stesso Tommaso apparteneva. Una descrizione che è invece contenuta nel canto successivo (il XII) ed è affidata al francescano Bonaventura da Bagnoregio. Sono cose che dovrebbe sapere qualunque studente mediamente preparato, al quale i professori avranno certamente inflitto lunghe dissertazioni sul significato di questa costruzione “a chiasmo” dei due canti gemelli. Sono cose che stanno pure sul Bignami. Eppure, per il Ministero, le cose non stanno così.
L’errore, precisa infatti la nota della Bastico, è frutto di un equivoco. Parlando di “descrizione” di san Domenico, l’estensore della traccia voleva in realtà riferirsi ai versi di introduzione all’episodio di san Francesco, contenuti nello stesso canto XI. Versi nei quali, sia pure senza far nomi, si accenna in effetti a san Domenico. Tommaso – spiega il comunicato – «presenta già con una descrizione di una certa ampiezza entrambi i Santi nei versi 35-42 che precedono l’inizio del passo sottoposto ad analisi testuale». Poco importa che, di questi versi, soltanto due (il 38 e il 39, per esser precisi: «l’altro per sapienza in terra fue / di cherubica luce uno splendore») siano interamente dedicati al santo di Guzman. Queste parole e quelle che le precedono sarebbero già, per il Ministero, una «descrizione di una certa ampiezza». E l’ampiezza, si sa, è in fondo questione di opinione.
Ma il Ministero, non contento di salvarsi in corner con questo genere di argomentazioni (difettivi sillogismi, direbbe il poeta) pretende pure di stravincere la partita. E vuol convincere tutti, a chiusura del comunicato, di non aver mai fatto confusione tra questo canto e il successivo. Non solo dunque l’errore non c’è: l’errore ci sarebbe stato se, Dio non voglia, nella traccia si fosse accennato al canto XII: «Incongruo, se non addirittura fuorviante per gli studenti – conclude infatti il testo riportato ieri dalle agenzie – sarebbe stato, quindi, ogni riferimento ad altri personaggi o situazioni estranei al passo proposto, come ad esempio l’elogio di San Domenico, oggetto del successivo Canto XII».
Peccato che la Bastico non abbia letto bene la traccia che sta difendendo. Perché si sarebbe accorta che il riferimento c’è: incongruo, fuorviante e soprattutto evidente. Si trova in fondo a pagina 2, sotto il titoletto «Interpretazione complessiva e approfondimenti». Una parte della traccia in cui si invitano gli studenti a non dimenticare che «il poeta ha messo questa ricostruzione in parallelo a quella dell’opera di san Domenico, altro campione di quella storia» e che «tutto l’episodio è affidato alle parole di san Tommaso». A dimostrare l’approssimativa conoscenza di Dante nell’apparato di governo della scuola è una parola che, in questo contesto, non può essere certo casuale. Il parallelo tra la figura di Francesco e quella di Domenico non è questione di opinione. Questo parallelo esiste, ma per vederlo bisogna per forza leggere uno dopo l’altro i canti XI e XII. E questo parallelo esiste proprio perché, nel canto XII, il francescano Bonaventura fa con san Domenico tutto ciò che il domenicano Tommaso aveva fatto con san Francesco. Dice che la Provvidenza ha voluto mandare in terra «due campioni» con il comune scopo di riportare la chiesa alla sua purezza (canto XII, vv. 31-45, paralleli ai vv. 28-42 del canto XI); elogia san Domenico ripercorrendone la vita a partire dalla descrizione del suo luogo di nascita (canto XII, vv. 46-105, paralleli ai vv. 43-117 del canto XI); sottolinea che i due santi furono parimenti eccellenti e deplora l’attuale decadenza del proprio ordine (canto XII, vv. 106-126, paralleli ai vv. 118-139 del canto XI). E le analogie tra i due canti, a dire il vero, non si fermano qui. Ora, se uno studente parlasse di «parallelo» e aggiungesse subito dopo che «tutto l’episodio è affidato alle parole di san Tommaso» prenderebbe, di sicuro, un brutto voto. La buona notizia è che, a quanto pare, potrebbe sempre sperare in un impiego al Ministero.
Non è la prima volta, comunque, che gli estensori dei temi d’esame incappano in errori più o meno imbarazzanti. Due anni fa – con un’altra maggioranza politica, ma probabilmente con i medesimi burocrati impegnati a scrivere le tracce – era uscito un altro compito sul Paradiso di Dante. Riguardava il XVII canto, quello di Cacciaguida. Nella nota al testo il Ministero precisava che l’episodio comincia quando Cacciaguida incontra Dante «e dapprima (canto XVI) gli descrive la vita, a suo dire pacifica e onesta, della Firenze del suo tempo». Un erroraccio anche questo, perché l’elogio della Firenze antica (quella che «si stava in pace, sobria e pudica») è contenuto nel XV canto del Paradiso, e non nel XVI. Non sarà forse il caso, oggi, di chiedere le dimissioni di Fioroni, come nessuno le chiese allora per la Moratti. Ma insomma, ci sarebbero almeno gli estremi per mettere un debito in Italiano ai consulenti del Ministero. E anche per obbligare il viceministro a studiarsi la Commedia, prima di mandare in giro comunicati avventati. Potrebbe scoprirci delle cose interessanti. Per esempio, potrebbe imparare (Inferno, IV, v. 104) che qualche volta «tacere è bello».
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