Quasi cinque miliardi di euro. È questa l’impressionante cifra che il sistema scolastico italiano ha speso per formare gli oltre 35mila laureati siciliani, che tra il 2002 e il 2014 hanno deciso di lasciare l’Isola senza farvi più ritorno. Il dato si ottiene incrociando le rilevazioni fatte di recente dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) e dallo Svimez, l’associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno.
Secondo le stime dell’Ocse, infatti, per formare un laureato l’Italia spende circa 135mila euro, tra scuola materna, di primo e secondo livello e percorso accademico. Ipotizzando un percorso di formazione che va dai 13 ai 16 anni, asilo compreso. Nelle cifre – indicate nei report annuali Education at a glance – sono comprese le spese affrontate dalle famiglie degli studenti, ma il dato ha un’incidenza decisamente bassa. Tale investimento acquisisce significato se lo si correla ai numeri riguardanti l’emigrazione. Lo Svimez, in tal senso, è chiaro: «Dal 2002 al 2014 sono partiti 60.295 laureati siciliani, dei quali soltanto 25.233 hanno fatto rientro nella terra d’origine». Del totale di emigrati, 46.603 sono andati nelle regioni centro-settentrionali dell’Italia, 4.382 si sono fermati nel Meridione, mentre 9.310 hanno scelto di varcare i confini nazionali, per cercare fortuna all’estero. In tutti i casi, però, si tratta di risorse che non sono rimaste in Sicilia.
Una questione da non sottovalutare, specialmente se si considera che si tratta di lavoratori altamente qualificati. A commentare il dato è Gianfranco Viesti, professore ordinario di Economia applicata all’Università di Bari. «È un trend che negli anni si è via via rinforzato – commenta il docente, che già in passato ha affrontato il tema dell’emigrazione dal Meridione – e che ha conseguenze non solo sull’economia ma anche sulla società. Parliamo, infatti, di laureati che spesso non vogliono o non riescono a tornare a casa, e questo a causa di un sistema che non riesce a creare lavoro, specialmente per quanto riguarda posti richiedenti un’alta qualifica».
In tal senso, difficilmente un aiuto potrebbe arrivare dai flussi migratori in entrata. «Chi arriva nel nostro Paese, specialmente al Sud, raramente ha una formazione di alto livello», prosegue Viesti. Secondo il quale l’unico modo per arginare la cosiddetta fuga dei cervelli è un reale impegno delle istituzioni nell’ottica di creare lavoro. «Ma non basta puntare a innalzare soltanto l’occupazione, servono misure per incentivare i nostri laureati a rimanere», conclude l’esperto.
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