Nel mese che ha preceduto il 4 dicembre, Davide Faraone ha macinato chilometri, su e giù, per la Sicilia. Non mancava giorno che il sottosegretario all’Istruzione del governo Renzi non inaugurasse un comitato Basta un Sì o non partecipasse a un evento elettorale. Sull’esempio del suo infaticabile mentore, Matteo Renzi, anche il suo braccio destro palermitano non ha lesinato gli sforzi per provare a convincere i siciliani della bontà della riforma costituzionale. Ma, nonostante tutto, Faraone ha dovuto assistere a una sconfitta cocente, a cominciare da casa sua: Palermo. A nulla sono valse le decine di appuntamenti: negli ultimi 26 giorni, dal 7 novembre al 2 dicembre, il sottosegretario è tornato in Sicilia 17 volte, di cui dieci nella sua città natale. Da solo o per accompagnare il premier o i ministri. Ma, all’indomani del voto, la semina non ha prodotto il raccolto sperato. Anzi: Palermo è il capoluogo di Regione con la più alta percentuale di No, il 72 per cento. La Sicilia è seconda solo alla Sardegna nella classifica delle Regioni più contrarie alla riforma.
Il sottosegretario con anni di militanza allo Zen non è l’unico, tra i siciliani votati alla causa del Sì, a presentare a Renzi un bilancio amaro di quanto mietuto tra le mura amiche. Dall’altra parte dell’Isola, il suo potenziale concorrente alla corsa di presidente della Regione, Enzo Bianco, si lecca le ferite. Catania fa peggio di Palermo: capoluogo di provincia con la più alta percentuale di No (75 per cento) a livello nazionale, idem la provincia etnea (dove i No sono stati il 74,5 per cento). «Le iniziative di Matteo Renzi in Sicilia danno un’ulteriore spinta, anche nella nostra Regione, a favore del Sì», diceva il primo cittadino etneo lo scorso 23 ottobre. Né sembra aver portato grande fortuna la frase pronunciata dallo stesso premier durante la sua ultima visita ai piedi del vulcano, davanti a una platea di medici accorsi a un evento sulla sanità, in cui però vennero anche «correttamente informati su quello che prevede il quesito referendario», come sottolineava il presidente dell’ordine. In quell’occasione Renzi aveva detto: «Sant’Agata fa il tifo per noi, me l’ha detto l’arcivescovo».
Anche il governatore Rosario Crocetta domenica è tornato a casa per votare, ma a Gela, la sua città, il Sì si è fermato al 28 per cento. E persino il sottosegretario Giuseppe Castiglione, nel suo tradizionale feudo di Bronte, ha visto il No trionfare col 66 per cento delle preferenze, nonostante l’impegno profuso sul territorio, insieme all’amico e suocero Pino Firrarello, per dieci anni sindaco del Comune etneo. Non va meglio a Fausto Raciti, segretario del Pd siciliano originario di Acireale, dove il No ha sfondato la soglia del 76 per cento, con buona pace anche del vero uomo forte della politica locale: Nicola D’Agostino, anche lui impegnato nella campagna per il Sì (rara occasione di convergenza con lo stesso Raciti) con il suo movimento Sicilia Futura. Tracollo di dimensioni molto simili anche ad Agrigento, terra del ministro dell’Interno, Angelino Alfano. E a Messina, dove i centristi Giovanni Ardizzone – presidente dell’Ars e futuro candidato sindaco della città – e Gianpiero D’Alia, ex ministro, si ritrovano con uno striminzito 29 per cento di preferenze per il Sì. Stavolta, è proprio il caso di dirlo, nessuno è stato profeta in patria.
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