Ci siamo. I mondiali di Calcio 2010 hanno preso ufficialmente il via, per i tifosi dell’Italia, con la prima partita della nazionale, che ha giocato ieri sera contro il Paraguay. Come sicuramente avranno fatto gran parte dei lettori, chi scrive ha seguito la prima partita degli azzurri a casa di amici, con canonici pizza, birra e – fantozziano – rutto libero.
Dopo il consueto Inno di Mameli, il fischio dell’arbitro Archundia ha decretato l’inizio della partita Italia-Paraguay. Io sono fiduciosa e, anche se difficile, la speranza è sempre indirizzata verso la vittoria. «Siamo i campioni del mondo – penso – e perdere la prima partita sarebbe davvero una figura di merda». I giocatori cominciano il match bagnati da una leggera pioggerellina. Dopo il primo minuto mi rendo conto di conoscere solo due dei calciatori in maglia azzurra. «Ma chi sono questi?» penso. Subito rifletto sul fatto che il 90% dei convocati è davvero un gran figo: più che calciatori sembrano modelli, con i capelli acconciati a regola d’arte, tatuaggi ovunque e muscoli che si intravedono da sotto le maglie aderenti. «Saranno mica preoccupati che la pioggia gli scompigli i capelli?» penso. «Giocano contro il Paraguay – esclama uno dei miei amici intorno al quinto minuto – a quest’ora dovevamo già stare 3 a 0». Nemmeno il tempo di finire di pronunciare l’ultima parola che il gioco prende il ritmo e i giocatori latino-americani sembrano davvero incazzati. Corrono come pazzi e si avvicinano pericolosamente alla porta di Buffon. «Questi stasera ce lo fanno quanto una casa» dico tra me e me, per non rovinare l’atmosfera patriottica che si respira nella stanza.
Visti gli inizi poco felici per l’Italia, io che non capisco una mazza di calcio, comincio ad ascoltare attenta le parole dei cronisti per cercare di capirci qualcosa e per carpire qualche pronostico. Quello che sento non mi chiarisce le idee: corner, fascia, cross, traversone. Mi sono sempre chiesta che cosa volesse dire «parte il traversone» e, ahimè, nessuno è mai riuscito a spiegarmelo. Forse chi fa la telecronaca delle partite dispone di una serie di frasi standard che pronuncia in modalità random, perché tanto nessuno capisce un cacchio. Mi distraggo da questi pensieri quando vedo sullo schermo Zambrotta che stronca una gamba ad un paraguayano, mi pare si chiami Alcatraz o giù di lì. La situazione precipita e l’Italia perde praticamente il possesso della palla. Mi preoccupo seriamente quando viene assegnato il primo calcio di punizione al Paraguay. Ci salviamo per un pelo dal primo gol avversario e tiro un sospiro di sollievo. I miei amici, però, non sono molto contenti dell’andamento della partita e, quando un giocatore del Paraguay, citando le parole del cronista, si trova «per caso nella nostra area di rigore», uno dei presenti urla al televisore «segna segna che tanto ce lo meritiamo tutto!».
Le acque si calmano e, guardando i piedi dei calciatori in campo, mi accorgo di quanto sia brutto il pallone di quest’anno. «Sembra un Supertele» penso. Sempre per la stessa ragione, faccio caso a quanto siano brutti anche gli scarpini, e lo faccio presente ai miei commensali. «Sembrano ausiliari del traffico. E a giudicare dall’andazzo della partita, hanno anche la stessa mobilità» sottolinea una mia amica in fondo al tavolo.
Gli omini in azzurro stanno facendo davvero schifo. Sembra che stanno passeggiando alla Villa, o magari credono di fare una partita a Un, due, tre, stella, dato che si fermano non appena arrivano davanti alla porta avversaria. Nell’aria si respira sconforto e, nella disperazione più totale, sento dal fondo della stanza una voce sconsolata che urla «ma che cazzo stanno facendo? Ci dobbiamo fare prendere per il culo in mondovisione?». Il gioco, fino a quel momento quasi soporifero, si ravviva quando viene assegnata una punizione all’Italia. La speranza negli occhi dei miei amici si spegne quando ci ammucchiamo allegramente la seconda palla gol della serata.Il gioco si fa duro e i duri cominciano a giocare, recita il proverbio. Infatti, intorno al 39′ minuto, il Paraguay passa in vantaggio. Io non ho capito niente; mi ero distratta un attimo e, richiamata in me da bestemmie e imprecazioni che risuonano nell’aria, vengo a sapere che il gol dell’uno a zero l’ha segnato sempre quell’Alcatraz di cui sopra, che in realtà si chiama Alcaraz, che ha così vendicato la sua povera gamba ferita. Che poi, questo gol ce lo potevamo pure risparmiare. A giudicare dal replay, Buffon, in quel momento, pare stesse facendo le parole crociate.
Il morale è sotto le scarpe e, per farci passare il dispiacere, ci concentriamo sulle calze dei giocatori del Paraguay, notando con estremo stupore che, al contrario di quelle dei nostri, sono tutte uguali (e orrendamente a strisce orizzontali bianche e rosse stile Pippi Calzelunghe). Gli Azzurri di Lippi arrancano ancora per qualche minuto, finché l’arbitro, cornuto perché ci ha fischiato due fuori gioco che ovviamente non c’erano, dichiara la fine del primo tempo.
Dopo la pausa sigaretta, riprendiamo i posti di combattimento, stavolta però con birra in mano sul divano. Siamo a metà giugno, fuori ci saranno quarantamila gradi e, forse anche a causa dell’avvincente spettacolo a cui abbiamo assistito nei quarantacinque minuti precedenti, il sonno e la fiacca si impadroniscono di noi. L’Italia cambia portiere, sostituendo Buffon con Marchetti. Il nuovo portiere mi sembra insicuro, ha la faccia un po’ spaventata. Magari contava di farsi tutti i Mondiali in panchina, e invece… «Va bene dai, sempre meglio di niente» penso. Il gioco riprende e il Paraguay riparte all’attacco, più incazzato di prima. L’Italia tenta la rimonta: le azioni non mancano, peccato che quelle che i nostri portano avanti le sbagliano tutte. Comincio a chiedermi se gli hanno spiegato o no che la palla non si passa all’avversario, o che non si tira proprio tra le braccia del portiere. Magari non lo sanno. A confermare i miei sospetti ci pensa il telecronista, il quale afferma con estrema nonchalance che «non abbiamo avuto occasioni da gol». Ma che partita sta guardando? Ma dov’è? Ma che sta dicendo?
Mi rassegno a soccombere e, quando li vedo incedere verso la loro stessa porta, una domanda mi sorge spontanea: ma hanno capito che c’è stato il cambio di porte?
Per un attimo la situazione sembra migliorare. Siamo al settimo del secondo tempo e parte l’azione offensiva dell’Italia. Niente, falso allarme, tutto normale: davanti alla porta avversaria, Pepe si mangia un altro gol, sbagliando una rovesciata. Io e miei amici arriviamo alla conclusione che i giocatori dell’Italia non corrono; sono lenti e si fanno sfuggire palle gol d’oro, utilissime per la rimonta.
Quando meno ce l’aspettavamo, finalmente, succede qualcosa. A sorpresa arriva il gol del pareggio, segnato da De Rossi. Un boato invade la casa, tantoché il padrone dell’appartamento, preoccupato per l’incolumità del suo immobile, ci invita a calmarci, affermando che «non abbiamo vinto i mondiali, abbiamo pareggiato con il Paraguay! C’è bisogno di fari tuttu stu buddellu?».
L’uno a uno segna praticamente la fine del match. Infatti, dopo il punto della rimonta per l’Italia, la partita perde ancora più tono: nessuna azione rilevante, nessun tentativo serio di rimonta. Lippi tenta di smuovere il gioco e di passare in vantaggio con qualche sostituzione, facendo entrare Di Natale e Camoranesi, che riesce solo a farsi ammonire. Gli ultimi venti minuti trascorro abbastanza tranquilli, finché, dopo tre primi di recupero, Archundia fischia la fine dell’incontro. Come dice il proverbio? Chi ben comincia…
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