Un sit-in davanti ai cancelli dell’azienda e uno sciopero di quattro ore in contemporanea con i colleghi dello stabilimento francese di Grenoble. A poco meno di due settimane dalla richiesta di cassa integrazione per 2200 dipendenti, i quattromila lavoratori della St Microelectronics avvieranno da domani la prima di una serie di proteste. Un’operazione iniziata in maniera autonoma già ieri, quando «una squadra ha fatto uno sciopero spontaneo per due ore circa», racconta Michele Pistone, rsu della Fiom.
Dall’ultimo tavolo con i sindacati, quando i vertici dell’impresa produttrice di componenti elettronici hanno annunciato la richiesta di mobilità, «non abbiamo avuto alcun contatto – prosegue Pistone – Ma l’azienda sta irrigidendo la concessione di ferie e permessi, rendendone più complicata la fruizione». Una situazione difficile anche nella sede di Agrate, in provincia di Milano. «Lì è stato chiesto lo smaltimento delle ferie, ancora non siamo arrivati a richieste di cassa integrazione, ma c’è un rallentamento produttivo che fa preoccupare».
A pesare sulla vicenda, in questo momento, è il silenzio del governo italiano che, al contrario dell’esecutivo guidato da François Hollande, non ha ancora preso una posizione ufficiale sulle ultime indicazioni provenienti dall’azienda guidata da Carlo Bozotti. «Domani invieremo un appello a Matteo Renzi perché intervenga immediatamente sui piani industriali e chieda maggiori investimenti in ricerca e sviluppo», anticipa Iole D’Agostino, sindacalista e dipendente St dal 1997. «Il nostro è un settore in cui l’innovazione è fondamentale». I sindacati chiedono un intervento prima del 29 ottobre, quando Bozotti e il consiglio d’amministrazione si presenteranno per le dichiarazioni agli azionisti. Il timore, però, è che il dialogo con i vertici del ministero del Lavoro non dia i frutti sperati. «Un funzionario ministeriale ci ha detto: “Ognuno deve fare la propria parte” – racconta D’Agostino – Speriamo di aver capito male, che non significhi che dobbiamo fare dei sacrifici, siamo preoccupati».
L’aria, sia alla zona industriale etnea come in Brianza e dall’altra parte dell’Alpi, è molto tesa. «I colleghi non sono tranquilli – confessa la sindacalista – La produzione a sei pollici è in calo, i finanziamenti per il settore di sviluppo degli otto pollici sono stati bloccati». Nell’immediato a rischiare di più sono i colleghi francesi: qui sono 1500 gli esuberi previsti. «Se davvero ci fossero tutti questi licenziamenti, non sarebbe un bene per nessuno. L’intera azienda farebbe un passo indietro», precisa la rappresentante. A lei fa eco Boris Di Felice, segretario del comitato aziendale europeo, fisico impiegato nell’azienda da 19 anni. «Siamo riusciti a far capire è che il problema è generale, accomuna tutti. Quello che chiediamo – sottolinea – è un rilancio industriale, prevedendo per ciascun sito una specificità».
Di Felice, assieme a un collega transalpino, si trova proprio in questi giorni a Bruxelles. «Siamo stati convocati dal direttore del Dipartimento industriale componenti e sistemi della Commissione europea – afferma – Abbiamo inviato una lettera a luglio nella quale chiediamo di cambiare questa politica aziendale così attenta ai soli tagli». Per questo motivo la manifestazione di domani assume un valore importante, «per la prima volta sarà una protesta intereuropea, Catania e Grenoble si fermeranno nelle stesse ore, in un’assemblea in collegamento video, e una delegazione di Agrate sarà in Francia». Il 26 ottobre, invece, saranno gli impianti in Lombardia a fermarsi, accogliendo alcuni colleghi provenienti dagli altri stabilimenti. «Il problema non è la cassa integrazione in sé. Quello che preoccupa è la mancanza di prospettive – conclude Boris Di Felice – Di fatto, si fa una politica conservativa ed è una situazione che non può andare avanti così a lungo. Chiamiamo tutti i soggetti coinvolti a misurarsi una volta per tutte sui problemi concreti».
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