Cowards, i codardi. Questo il nome che la squadra mobile di Catania ha scelto per l’operazione che in questi giorni ha portato all’arresto di dieci persone, e all’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di un’altra persona ancora latitante. Tra queste anche alcuni violenti rapinatori che, dopo aver selezionato con cura le proprie vittime tra i cittadini più anziani, si introducevano negli appartamenti picchiando e legando i proprietari. Una vera e propria associazione a delinquere, non legata a uno specifico quartiere, organizzata intorno alle figure di tre uomini, al vertice, e di alcuni complici o basisti interni a strutture strategiche come uffici postali e motorizzazione civile. Talpe fondamentali che, grazie all’accesso a dati sensibili e conti correnti, comunicavano con precisione nomi e indirizzi delle persone più deboli e, al contempo, più benestanti.
Danilo Di Mauro, Claudio Zappalà e Giuseppe Nicolosi, questi i nomi di quelli che il dirigente di polizia Antonio Salvago definisce «senza dubbio il vertice del gruppo». Giovanissimi i primi due, del 1992 il primo, del 1994 il secondo con a capo il più anziano, il 29enne Nicolosi, pregiudicato ai domiciliari e «figura intorno al quale ruotava tutta l’attività criminale», come spiega il funzionario. Un lavoro frenetico, che sarebbe stato gestito da casa di Nicolosi, «vero e proprio quartier generale dove si tenevano materiali, armi e refurtiva», e che oltre alle abitazioni private prendeva di mira anche negozi. Proprio dalle immagini di sicurezza di una gioielleria, dopo un colpo effettuato il 26 ottobre 2015, gli investigatori sono riusciti a risalire alle targhe degli scooter utilizzati dai ladri per scappare.
Questo l’input dal quale son partite poi le indagini che, da quel giorno, sono durate per tutto il 2016. Anno in cui il gruppo è riuscito a mettere a segno altri due furti in appartamento. Il primo, la sera del 19 febbraio, a danno di una coppia di anziani fratelli al centro di Catania. Uno dei quali, durante l’azione, è stato colpito al volto e immobilizzato con del nastro isolante. Mentre l’altro è stato costretto ad aprire la cassaforte dov’erano conservati, in contanti, circa settemila euro. La seconda rapina di cui hanno notizia gli agenti, il 20 aprile, ha invece preso di mira una coppia di coniugi, anch’essi di età avanzata. «Hanno utilizzato sempre il solito cliché – spiega Salvago – Prima staccavano la luce dall’esterno e, appena l’incauto proprietario usciva dalla porta per capire cosa fosse successo, lo colpivano alla testa». In questo caso a farne le spese è stata una donna a cui i rapinatori hanno fratturato la protesi dentaria con un pugno in faccia mentre il marito è stato raggiunto al capo. Minacciato poi con un coltello alla gola e legato con i cavi telefonici, l’uomo è stato privato di millecinquecento euro e di anelli preziosi. «Siamo davanti a soggetti estremente violenti e senza scrupoli – aggiunge il procuratore capo Carmelo Zuccaro – non avevano problemi né davanti a soggetti deboli, né davanti ai bambini, come è possibile ascoltare dalle intercettazioni della polizia».
«Ci sono dei bambini», spiega uno dei rapinatori all’altro, in una conversazione telefonica. «Li prendiamo e li incaprettiamo, e poi scappiamo», afferma sicuro l’interlocutore. Per riuscire a capire chi andare a colpire, la squadra operativa si sarebbe servita delle informazioni date da Graziella Rapisardi, impiegata di Poste italiane. Nel caso dei coniugi, la donna avrebbe detto ai complici di poter trovare una «grossa eredità che però gli anziani non tenevano in casa, con dispiacere dei ladri», aggiunge Salvago. Gli investigatori parlano anche di un’altra persona, un impiegato della motorizzazione «contattato dal gruppo per fornire informazioni dalla targa di una vettura di lusso che avevano adocchiato».
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