Da luoghi di cura a luoghi di contagio. È così che molti ospedali dell’Isola si sono trasformati da quando è iniziata la pandemia dovuta al Covid-19. Adesso, dopo quasi due anni di convivenza con il nuovo coronavirus, alcune cose sono rimaste identiche (della scorsa settimana è la notizia di un focolaio nel reparto di Terapia intensiva Covid nell’ospedale di Gela) e altre si è cercato o si sta cercando di cambiarle. Tra queste c’è la proposta di garantire in sicurezza gli incontri negli ospedali tra i familiari e i pazienti fragili, anche quelli affetti dal Covid. A metterla nero su bianco per presentarla all’Ars è stato il deputato Danilo Lo Giudice che al ddl ha allegato anche un protocollo operativo elaborato insieme a personale medico specializzato. «Nel bilanciamento degli interessi tra l’aspetto psicologico e quello della sicurezza – commenta a MeridioNews Cristoforo Pomara, uno dei componenti del comitato tecnico-scientifico regionale – sicuramente la visita del parente è un diritto di cui il paziente non può essere ulteriormente privato».
Una privazione che ha comportato non solo il dovere affrontare la morte senza nemmeno poter dare un ultimo saluto ai propri cari ma anche conseguenze psicologiche a lungo termine dovute alla situazione di isolamento – dallo stress post-traumatico a disturbi di tipo depressivo e ansioso – comparse una volta dimessi dalle strutture ospedaliere. L’umanità delle cure, però, non può fare abbassare la guardia nella lotta contro la diffusione del virus specie in una regione come la Sicilia in cui i numeri dei contagi rimangono alti e che da oggi è passata di nuovo ufficialmente in zona arancione. Per questo, è fondamentale che in ogni struttura ospedaliera si costituisca un team multidisciplinare (composto da medici, infermieri e psicologo) che disciplini le modalità di accesso dei parenti e verifichi l’applicazione del protocollo.
Per ogni paziente dovrà essere individuato un visitatore autorizzato all’ingresso, che dovrà essere sempre lo stesso, per un incontro settimanale con il paziente della durata massima di venti minuti. Fondamentale sarà che il familiare compili un modulo sugli eventuali (anche potenziali) rischi di contagio. Poi, due giorni prima della visita, il parente sarà contattato al telefono dal personale sanitario e dovrà rispondere a un questionario con una serie di domande sul suo stato di salute e su eventuali comportamenti a rischio infezione. Per accedere in ospedale, comunque sarà necessario esibire il risultato (negativo) di un tampone molecolare eseguito non più di due giorni prima dell’incontro.
«L’accesso attraverso queste misure, a partire dall’anamnesi dei contatti del visitatore – afferma Pomara – dovrebbe essere garanzia di un incontro in sicurezza. Però – aggiunge – oltre al tempone, bisognerebbe esigere la terza vaccinazione o comunque la copertura vaccinale all’interno dei 120 giorni. Ovviamente – conclude il medico – fermo restando l’obbligo di indossare sempre correttamente la mascherina Ffp2». E, in effetti, una parte del protocollo è dedicata proprio alla vestizione e alla svestizione del visitatore che dovrà sempre essere accompagnato dal personale preposto e aiutato nelle procedure da seguire. Per entrare all’interno dei reparti Covid, infatti, sarà necessario indossare non solo una mascherina Ffp2 o Ffp3 ma anche tuta, doppi guanti, occhiali di protezione o visiera e calzari. Così, il parente potrà avvicinarsi al posto letto del paziente e potrà rimanerci non più di 20 minuti sotto stretta sorveglianza da parte di un operatore sanitario che dovrà intervenire nel caso in cui dovessero essere infrante le regole anti-contagio. Finito il tempo della visita, il familiare sarà guidato nella sequenza precisa da seguire per la fase della svestizione.
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