Anno nuovo, nuove restrizioni. Con i numeri dei contagi del coronavirus che restano stabili e in alcuni casi sono cresciuti nonostante le chiusure imposte durante le festività, ecco in arrivo una nuova zona arancione che durerà almeno fino al 16 gennaio. E se settori come quello della ristorazione hanno ormai fatto il callo alla chiusura al pubblico, la novità assoluta è per le scuole elementari e medie, che si troveranno a cimentarsi per la prima volta con la didattica a distanza. Per entrambi i comparti, tuttavia, la vita resta non poco difficile, tanto dal punto di vista economico quanto da quello organizzativo.
A lamentare i maggiori danni è senz’altro la ristorazione. «Ogni volta che si sta per chiudere una misura di restrizione, ne arriva un altra e si riparte da zero – dice a MeridioNews Gianluca Manenti, vicepresidente di Confcommercio Sicilia – Nonostante i ristoranti siano rimasti chiusi, i dati sono continuati a crescere e la pandemia ha continuato a diffondersi. Le responsabilità del contenimento della diffusione del virus non può pesare solo sulle spalle dei ristoratori».
«La curva pandemica e quella economica vanno monitorate allo stesso modo – prosegue Manenti – Non possono esserci restrizioni senza adeguate compensazioni. Il 40 per cento del fatturato è andato in fumo e soprattutto nei mesi di novembre e dicembre si produce il 20 per cento del fatturato di tutto l’anno, cosa che non è stata raggiunta viste le chiusure». Secondo l’associazione di categoria, tuttavia, una soluzione alternativa potrebbe esistere. «Insieme alla Fipe, con le sigle sindacali del commercio e del turismo, abbiamo chiesto un piano organico di interventi, soprattutto per programmare la riapertura in sicurezza dei locali. Sia per le imprese che per i lavoratori. Questi provvedimenti gettano gli imprenditori nell’incertezza e ci sono dei danni, delle distorsioni che ne conseguono. Si tratta di un sacrificio sociale che non è giustificato dai dati e non è accompagnato da adeguate misure compensative».
Nel frattempo, nelle scuole sono ore di riunioni e collegi d’istituto per cercare di stilare un piano operativo per affrontare la nuova situazione. «La nostra è una scuola primaria e dell’infanzia – racconta Francesca Lo Nigro, dirigente dell’istituto Aristide Gabelli di Palermo – L’infanzia procederà regolarmente in presenza, per la primaria, invece, proprio questa mattina si è riunito un collegio straordinario per organizzarci nella previsione che questa ordinanza fosse emanata. Nel piano di attività iniziale abbiamo previsto il regolamento delle attività digitali proprio per l’eventualità della didattica a distanza. E in base a questo già nel corso degli ultimi mesi dell’anno abbiamo attuato attività per quelle classi che man mano venivano poste in isolamento o in quarantena. Per noi non è materia nuova, dunque, ma organizzarlo per tutta la scuola è un impegno maggiore».
Ma la vera difficoltà sta nel mettere tutti gli studenti nelle condizioni di potere usufruire della didattica a distanza. «Abbiamo già organizzato il piano di intervento per la prossima settimana, con un calendario di attività da svolgere nelle ore mattutine in dad, con la disponibilità per i docenti che preferiscono venire a scuola per svolgere l’attività in remoto perché ne possano fruire. Il vero impegno – sottolinea la dirigente scolastica – è occuparsi del comodato d’uso di computer e tablet per quei bambini che non ne hanno la disponibilità. Le organizzazioni che stanno a monte sono molto impegnative. Dobbiamo dedicare l’intera giornata di lunedì alla consegna dei dispositivi».
Discorso diverso per la scuola dell’infanzia. «Mettere dei bambini di tre anni di fronte a un computer è contro natura – continua la preside – La speranza dei docenti era quella di potere continuare in presenza, nonostante tutte le difficoltà: i bambini non indossano la mascherina, non c’è obbligo distanziamento, ma sono contenti». E la lunga permanenza di fronte a un monitor ha dovuto anche rivoluzionare drasticamente i programmi. «Prevediamo circa 15 ore settimanali, tre ore per mattinata, prediligendo le materie fondamentali – conclude Lo Nigro – Da noi si fanno 27 ore settimanali, per ridurle così tanto abbiamo dovuto sacrificare le discipline. Parlo con serenità, ma l’impatto emotivo alle spalle è stato molto forte. E c’è sempre l’auspicio che duri soltanto una settimana. Non è facile insegnare a distanza a un bambino a leggere».
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