«I problemi negli hotspot esistevano prima della comparsa del Covid». A una settimana dall’istituzione della task force – la seconda, dopo quella nominata a inizio epidemia e affidata ad Antonio Candela fino al momento del suo arresto per corruzione – per verificare le condizioni in cui versano gli hotspot e i centri d’accoglienza dell’isola, un primo bilancio può essere fatto. A guidare il team di esperti è Cristoforo Pomara, professore ordinario di Medicina legale all’università di Catania. «Ne abbiamo visitati tre finora, gli hotspot di Lampedusa e Pozzallo e un centro di accoglienza nel Ragusano – spiega a MeridioNews Pomara -. In totale sono una quarantina, diciamo che lavoro da fare ce n’è abbastanza».
La scelta di inviare una commissione di tecnici nei luoghi dove transitano i migranti subito dopo gli sbarchi è nata nel pieno della polemica tra il governo Musumeci e il governo Conte, e le richieste del primo di stoppare gli arrivi in Sicilia nel pieno della pandemia Covid-19. Una richiesta che Musumeci e Razza hanno iniziato a inoltrare già in primavera e che a fine agosto è culminata nell’ordinanza, poi annullata dal Tar, con il cui il governatore siciliano ordinava lo sgombero degli hotspot. A sostegno della propria posizione c’è la rivendicazione di essere la prima autorità in campo sanitario per ciò che avviene nell’isola. Hotspot compresi. «Il nostro compito non è solo quello di controllare la presenza dei requisiti previsti dalla normativa, ma anche di proporre soluzioni che chiaramente non possiamo mettere noi in atto. L’obiettivo però è quello di essere più proattivi».
Sulla carta il mandato dato dall’assessore alla Sanità Ruggero Razza scade il 15 ottobre, ma è prevista la possibilità di proroga. «Stiamo segnalando problemi a cui porre soluzioni urgentissime e altre situazioni che andrebbero affrontate a lungo termine», va avanti Pomara. Tra i punti fermi c’è senz’altro il sovraffollamento delle strutture: a Lampedusa da settimane il numero di migranti ospitati è decisamente più alto della capienza massima. «Tra i problemi che abbiamo ravvisato ci sono le condizioni in cui versano i bagni, spesso senza divisori tra i servizi igienici e la zona delle docce», continua Pomara.
Più in generale c’è che gli hotspot, istituiti nel 2015, dovrebbero fungere da centri di identificazione in cui il migrante dovrebbe rimanere per un tempo massimo di 72 ore. Obiettivo che sin dal principio, e indipendentemente dal flusso migratorio, è stato quasi sempre disatteso, facendo degli hotspot dei centri d’accoglienza. «Le criticità igienico-sanitarie che oggi emergono con il rischio di diffusione Covid, in passato probabilmente sono state le stesse quando l’attenzione era posta ad altre patologie come la scabbia e la tubercolosi», è il convincimento di Pomara. Che ha chiesto che a prendere parte alla task force fosse anche un esperto di medicina delle migrazioni. «Si occupa di tutte le patologie connesse ai flussi migratori, indipendentemente che siano spostamenti legali o illegali – spiega Pomara – Quando ci si muove da un’area geografica all’altra ci si porta dietro un background anche clinico. Un hotspot sanitario dovrebbe riuscire a garantire percorsi sanitari adeguati ad affrontare le singole patologie, arginando il rischio di trasmissione».
Orizzonti che al momento sono inarrivabili per le strutture presenti in Sicilia. Anche di questo Musumeci parlerà oggi al premier Giuseppe Conte, in un incontro che potrebbe servire a rasserenare gli animi dopo le recenti tensioni. «Al presidente del consiglio darò un quadro molto chiaro, al quale mi auguro, e sono certo, vorranno seguire decisioni forti: stato di emergenza per Lampedusa, ponte aereo e un vero controllo del Canale di Sicilia – ha promesso Musumeci -. E, soprattutto, no alle tendopoli ed a soluzioni similari. La Sicilia non può pagare da sola il prezzo dell’indifferenza dell’Europa».
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