«Misure insufficienti a evitare il sovraffollamento aziendale e tutelare la salute dei lavoratori dal rischio di contagio da coronavirus». È questo l’allarme lanciato dalla segreteria catanese della Uilm che ha deciso di proclamare uno sciopero nello stabilimento St Microelectronics di Catania da domani 14 marzo e fino a mercoledì 25 per denunciare il mancato raggiungimento di un accordo che tuteli i lavoratori. «La protesta, che interesserà tutti i turni – spiegano dal sindacato – serve per dare a tutti i lavoratori la possibilità di andare via in qualsiasi momento a tutela loro, delle proprie famiglie e dell’intera collettività».
La questione riguarda, in particolare, i cosiddetti lavoratori diretti ovvero quelli legati alla produzione. La decisione di mettere in pratica l’azione di protesta è arrivata dopo l’incontro di ieri tra i vertici aziendali e le rappresentanze sindacali unitarie durante il quale non è stato raggiunto un accordo. L’azienda ha offerto una riduzione del personale nelle sale pari al 34 per cento con permessi retribuiti. «Nel conteggio, però – lamentano i sindacati – sono stati inseriti anche i dipendenti legittimamente assenti con altre motivazioni».
In questo modo, considerato il periodo di validità, non a tutti i lavoratori sarebbe permesso fruire dei permessi retribuiti. «Noi abbiamo avanzato la richiesta delle riduzione della percentuale di presenze e l’esclusione di assenze per malattia, congedi parentali e donazioni del sangue», dicono dalla Uilm. Proposte che però il management di St non ha accolto. «In questo modo – proseguono dal sindacato – non si tutela il diritto alla salute ma si discriminano alcune categorie di lavoratori».
In questo caso, a essere discriminati sono appunto i dipendenti che lavorano nelle sale di produzione. «È vero – dice a MeridioNews uno dei lavoratori – che normalmente sono già tutti muniti di mascherine che servono, però, a proteggere il prodotto e non hanno nulla a che vedere con le precauzioni per il coronavirus». Nel colosso multinazionale che ha sede nel capoluogo etneo (oltre al sito produttivo di Agrate Brianza, in provincia di Monza e Brianza), si producono microchip che poi, in molte parti del mondo, vengono assemblati da grandi fabbriche di automobili ed elettronica.
«Non produciamo beni di prima necessità – sottolinea uno dei lavoratori – All’interno delle sale, ci sono momenti in cui la distanza di sicurezza (almeno un metro, ndr) non può essere rispettata, come per esempio nelle fasi di controllo o di trasporto. Molti operai – aggiunge – sono pendolari che si spostano con gli autobus; per tutti resta comunque anche il problema delle timbrature in entrata e in uscita che sono momenti in cui è difficile che non si creino assembramenti».
Le organizzazioni sindacali di categoria a livello nazionale stanno sollecitando il governo a incentivare la chiusura delle aziende con l’utilizzo di ammortizzatori sociali. «Le fabbriche che non producono beni di prima necessità con maggiore responsabilità sociale, hanno già chiuso temporaneamente i battenti», dichiara il lavoratore. I dipendenti indiretti non legati alla produzione (settore commerciale, amministrativo o della progettazione) hanno invece la possibilità di accedere allo smart working. «Non tutti però, alcuni di loro non sono dotati di computer portatile e, quindi, sono costretti ad andare in ufficio oppure a mettersi in ferie, rinunciando già da ora a quelle estive. Il nostro pensiero – conclude il lavoratore – è che da parte di St ci sia tutta la collaborazione possibile se non è l’azienda a doverci rimettere ma se si tocca il profitto, apriti cielo».
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