«Il centralino e i cellulari non squillano più. È chiaro che, in questo momento, non hanno possibilità di chiamare». Sono muti i telefoni dei centri antiviolenza siciliani. È uno degli effetti collaterali legati all’emergenza coronavirus. Nei giorni in cui tutti gli italiani sono chiamati a stare a casa per prevenire il diffondersi del contagio del Covid-19, «c’è chi, tra le mura domestiche, sta vivendo l’inferno in terra». Sono le donne vittime di violenza obbligate a vivere la quarantena «con il marito o il compagno sempre in casa», spiega a MeridioNews Marica Longo del centro antiviolenza Thamaia di Catania. «Un picco di segnalazioni potrebbe arrivare quando questa fase emergenziale sarà finita».
«Dallo scorso 9 marzo, con l’entrata in vigore delle misure restrittive da parte del governo, abbiamo avuto una sola richiesta di nuovo contatto», racconta la responsabile del coordinamento di Thamaia che risponde alle chiamate che arrivano al centralino. Donne costrette a bisbigliare chiuse in bagno o ad approfittare dei rari momenti in cui gli uomini sono fuori casa. «L’unica donna che ci ha chiamato – riferisce – parlava sottovoce e con l’ansia che il marito, uscito per andare in farmacia sotto casa, potesse tornare da un momento all’altro». Del resto, non esiste un altro modo per le vittime di segnalare le violenze. In questi giorni, qualche segnalazione ai centralini dell’Isola è arrivata da conoscenti, parenti o vicini di casa.
Dello stesso silenzio parla anche l’avvocata Daniela La Runa, presidente del centro antiviolenza Ipazia di Siracusa. «Normalmente riceviamo in media tre telefonate al giorno da parte di donne che chiedono una consulenza, un aiuto o che vogliono raccontare il disagio che stanno vivendo o la violenza a cui sono costrette a sottostare. In questo periodo, invece – afferma – abbiamo ricevuto solo due chiamate di emergenza quando c’era già stato anche l’intervento da parte delle forze dell’ordine».
Anche nel capoluogo aretuseo, il centralino non squilla più. «Per la maggior parte del tempo, le donne sono chiuse in casa con il loro aguzzino – fa notare La Runa – Temo che, anche nei pochi momenti in cui restano da sole, possano non avere soldi nel cellulare per chiamare». Anche perché, in molti casi, la questione della violenza è legata alla dipendenza economica. «Credo che, in questi giorni più del solito, le donne si sentano con le mani legate e stiano scegliendo di tenere un profilo basso, di assecondare, di annuire in silenzo – aggiunge l’avvocata – evitando di peggiorare la situazione».
Le richieste quasi azzerate non corrispondono, dunque, a una diminuzione degli episodi di violenza e di maltrattamenti tra le mura domestiche. Anzi. «Penso ci sia anche un aspetto legato alla sopravvivenza durante la quarantena forzata – analizza l’avvocata Carmen Currò, presidente emerita e fondatrice del Cedav di Messina – Probabilmente, le donne tendono a mettere in secondo piano questo problema privilegiando una parvenza di armonia per tutelare i figli». Anche al centro antiviolenza Le Onde di Palermo le richieste sono diminuite. «Continuiamo a seguire le donne che hanno già avviato un percorso – racconta Mariagrazia Patronaggio – Ma, avendo dovuto sospendere i colloqui dal vivo, ci scontriamo con molte difficoltà dovute ai contatti da tenere per telefono».
Le richieste d’aiuto sono in forte calo ovunque ma, «anche se dovessero arrivare – lamentano dai centri antiviolenza dell’Isola – in questo momento ci sarebbe il problema di allontanare le donne dalle proprie abitazioni e di collocarle in strutture che, nella maggior parte dei casi, sono quasi piene». Una difficoltà di non poco conto in questo periodo in cui mantenere le distanze di sicurezza è una priorità assoluta. Da più parti, intanto, ci si sta muovendo per trovare procedure adeguate al momento attuale e misure per garantire gli eventuali nuovi inserimenti nelle strutture tenendo conto del rischio contagio.
«Uno spunto interessante, che potrebbe anche servire per il futuro – sostiene La Runa – è arrivato dalla procura di Trento che ha proposto di allontanare da casa il maltrattante. Una situazione emergenziale come questa dimostra che il sistema così com’è non funziona». I dati sulle violenze di questi giorni emergeranno solo quando tutto sarà finito. «Assisteremo di certo – conclude Currò – a racconti dolorosi di convivenza coatta tra quattro mura domestiche non sempre di grandi dimensioni».
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