«Lo Stato ha risposto alla “pancia” di chi chiedeva vendetta e ha violato principi costituzionali, dimenticando che ciò che distingue lo Stato dalla mafia è il rispetto delle nostre norme». È durissimo il commento di Rosalba Di Gregorio, l’avvocato che ha rappresentato Bernardo Provenzano, in merito alla sentenza della Corte europea dei diritti umani che condanna l’Italia per aver continuato ad applicare al boss corleonese il carcere duro anche quando era ormai diventato un vegetale, durante gli ultimi mesi di vita. Una condanna forte, che arriva dopo una strenua lotta condotta dall’avvocato Di Gregorio e che adesso sta spaccando in due l’opinione pubblica, malgrado arrivi a due anni dalla morte del padrino. Rimane, tuttavia, un traguardo importante per l’avvocato, anche se «leggendo i commenti del ministro Alfonso Bonafede e di Luigi Di Maio, sembrerebbe non abbia valore! Ma per la battaglia di principio che si è voluta fare è importante perché, piaccia o meno, la condanna proprio per il caso Provenzano (e non di uno meno “pesante”) assume una valenza maggiore».
L’allusione è infatti al ministro della Giustizia, che ai microfoni di Repubblica ha commentato lapidario che «il 41 bis non si tocca», palesando quindi stupore e opposizione per la decisione della Cedu. E a quello, più articolato e infiammato, del vice presidente del Consiglio, che pubblica sui social un commento indignato: «Ma scherziamo? – chiede ironico -. Non sanno di cosa parlano! I comportamenti inumani erano quelli di Provenzano. Il 41bis è stato ed è uno strumento fondamentale per debellare la mafia e non si tocca. Con la mafia nessuna pietà». «Il Ministro forse non ha chiaro che il 41 bis è stato mantenuto ad un vegetale! – insiste ancora la legale, dal canto suo -. Forse è proprio l’Italia ad aver bisogno di imparare qualcosa. Se il regime speciale serve ad impedire i contatti con l’associazione di appartenenza, è perfino banale dire che un soggetto incapace possa relazionarsi con chiunque. L’elogio del 41 bis che fa Bonafede o Di Maio serve solo a prendere le distanze dall’Europa? Propaganda che qui non c’entra nulla. Il diritto è stato calpestato e la Corte lo afferma».
Più misurata invece la reazione del sostituto procuratore generale di Palermo Domenico Gozzo, che pone l’accento su un aspetto su cui, forse, ci si è concentrati troppo poco. Che ad essere messo sotto attacco, per così dire, non è stato il regime del carcere duro in sé, che in molti adesso si affrettano indignati a difendere. «Certo che il 41 bis è stato importante per la lotta alla mafia. E certo è che Provenzano ha fatto parte di un’associazione criminale e inumana. La sentenza europea, però, non affronta questi fatti che per la decisione erano ininfluenti, e dice soltanto che Provenzano ha avuto negati i diritti – commenta il magistrato -. La questione, per me, è che una persona ormai assolutamente non in grado di comunicare con gli altri non può essere pericolosa come prevede l’art. 41 bis, che prevede limitazione ai diritti solo nel caso in cui il detenuto abbia rapporti attuali con l’associazione di provenienza, e sia capo e pericoloso. Come fa una persona incapace di pensare e parlare ad essere pericoloso e a mantenere rapporti con la mafia?».
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