Crocetta lo annuncia da Tunisi. Il Cda dell’Azienda siciliana trasporti, sarà azzerato. Ma, assicura, «gli organismi saranno ricostituiti in breve tempo». Il nuovo terremoto giudiziario che stamani ha portato in carcere il presidente di Rfi e numero uno dell’Ast, Dario Lo Bosco, accusato insieme ad altri due alti funzionari del Corpo forestale della Regione siciliana di corruzione, è l’ennesima burrasca in un mare in tempesta da giorni. Il blitz della Squadra mobile di Palermo che ha fatto luce su un giro di mazzette con fiumi di denaro e regali usati per oliare gli ingranaggi della macchina burocratica, è l’occasione per un nuovo affondo. Dei pentastellati innanzitutto. «La corruzione con Ncd, alleata a Renzi e Crocetta, in Sicilia come in Italia va come un treno. Un treno che continuando così farà arrivare al capolinea la società italiana disgregandola e danneggiando l’economia sana» dice il senatore Gianluca Castaldi.
Ma i Cinque Stelle non sono gli unici. All’attacco va anche l’ex dem Fabrizio Ferrandelli. «In Sicilia il malaffare e la malapolitica si tengono per mano e i 90 deputati regionali non vedono, non sentono e non dicono» accusa. Lui lo scorso 19 luglio ha lasciato l’Assemblea regionale siciliana in polemica con Crocetta e il suo partito. «Fatico a trovare oggi una linea netta di demarcazione – aggiunge – tra la gestione trasparente della cosa pubblica in Sicilia e un sistema di corruzione che trova linfa in un sottobosco di personaggi che operano all’ombra delle istituzioni e si avvantaggiano di amicizie politiche importanti». Ma l’occasione è troppo ghiotta per rinunciare a una bordata anche agli ex compagni: «Mi risulta difficile pensare che il mio partito, con tanti deputati regionali di lungo corso, resti zitto». Così per l’ormai ex inquilino di Sala D’Ercole se «al disastro gestionale» del governo targato Crocetta si affianca anche la questione morale «questa stagione politica siciliana si è già chiusa e nessun rimpasto la riaprirà».
A porre l’accento sulla corruzione e sulla politica spesso inadeguata fa era stato anche il cardinale Paolo Romeo. Martedì in una Curia gremita in attesa della nomina del suo successore, Corrado Lorefice, era tornato a tuonare contro incapacità e opacità. Di politica e burocrazia. «Non bastano le dichiarazioni contro la mafia, perché quando le cose non funzionano la persona corrompe e gli altri si lasciano corrompere» aveva detto. Insomma per contrastare la corruzione che si annida nei gangli dell’apparato amministrativo il miglior antidoto è «una Regione che funziona, municipi e amministrazioni che funzionano. Non possiamo più vivere in una società che continua a corrompere, tutti dichiarandoci contro la mafia».
Adesso per il vice segretario regionale dell’Italia dei Valori, Paolo Caracausi, è arrivato il momento di dire basta ai «pannicelli caldi». Servono, al contrario, leggi e una «durissima lotta alla corruzione». Per combattere quello che Caracausi non esita a difinire «un vero e proprio cancro» serve applicare anche ai casi di concussione e corruzione «le misure di prevenzione personali e patrimoniali del codice antimafia, prevedendo la confisca a corrotti e corruttori dei beni di cui non si provi la legittima provenienza».
Intanto il Codacons ha già annunciato che si costituirà parte offesa nell’inchiesta della Procura di Palermo. Perché «episodi di questo tipo, oltre a rappresentare una vergogna per il Paese – spiega il segretario nazionale Francesco Tanasi – producono un danno agli utenti attraverso il servizio che viene loro reso, alterato da appalti truccati e concessi dietro pagamento di mazzette». Resta, comunque, il «senso di smarrimento e amarezza» che il fondatore di Libera, don Luigi Ciotti dice di aver provato davanti alle nuove notizie che scuotono i palazzi romani e palermitani. «Sarà la magistratura a consegnarci la verità – conclude don Ciotti – ma dai segnali che si hanno provo inquietudine. Mi stupisce però chi si stupisce, perché le ambiguità nei meccanismi del sistema erano visibili».
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