Vigilia di primavera a parlare ancora di corruzione. In particolare dei rapporti inscindibili tra questa e le organizzazioni mafiose. Senza l’una, le altre non avrebbero lunga vita, e viceversa.
Ne ha parlato don Ciotti sabato sul palco di piazza Duomo a Milano, in occasione della XV giornata del ricordo e dell’impegno in ricordo delle vittime di mafia. «Abbiamo bisogno di una politica – ha detto il fondatore di Libera – che possa fare a meno di darsi codici etici, perché sa rispondere al codice più importante che è quello della propria coscienza». E facendo riferimento alla scelta dei candidati per le elezioni continua: «I candidati non si misurano solo in base alle vicende giudiziarie, ma anche in base ai comportamenti e alle frequentazioni».
Ne ha scritto Roberto Saviano sabato su Repubblica, arrivando persino a chiedere la supervisione dell’Onu per garantire elezioni trasparenti. «Dai più piccoli Comuni sino alla gestione delle province e delle regioni, non c’è luogo in cui la corruzione non sia ritenuta cosa ovvia. L’ingiustizia ha ormai un sapore che non ci disgusta […] Il solo dubbio che ogni sforzo sia inutile, che esprimere il proprio voto e quindi la propria opinione sia vano, toglie forza agli onesti. Annega, strozza e seppellisce il diritto. Il diritto che fonda le regole del vivere civile, ma anche il diritto che lo trascende: il diritto alla felicità».
Il fenomeno è stato al centro anche di uno dei seminari organizzati da Libera e dall’associazione Avvisopubblico sabato pomeriggio a Palazzo Marino a Milano. Titolo: “La corruzione in Italia e l’intreccio con le mafie: l’eterno ritorno”.
Già, un deja vu, come dimostrano i dati forniti da Alberto Vannucci, ricercatore universitario all’università di Pisa. Al centro dell’analisi, il ruolo dei media nella percezione del fenomeno della corruzione. Il quotidiano La Repubblica, ad esempio, a metà anni ’80 raccontava in media 100 casi all’anno di corruzione; nel biennio di Tangentopoli (’92-’94) il dato è salito fino a 220 casi per anno. Nel 2007/2008 la media è stata di 30 casi.
Eppure, secondo una statistica del dicembre 2009, l’83% degli italiani ritiene che la corruzione sia un problema importante del nostro Paese, e ben 17% dei nostri connazionali ammette di averla vissuta sulla propria pelle, come vittima o come carnefice. Mentre il primo dato non è lontano dalla media europea (78%), il secondo la raddoppia (9%). Conclusione? Secondo Vannucci «in Italia c’è una percezione simile della corruzione rispetto al resto d’Europa, ma allo stesso tempo c’è una tolleranza sociale decisamente superiore».
Nella classifica di Transparency International, che valuta il livello di corruzione nel mondo, l’Italia è al 62° posto. Prima di noi, perfino Cuba. Dati e indici che non sono funzionali solo agli sproloqui degli analisti, ma sono ben presenti anche ai tanti imprenditori stranieri che ci pensano due volte prima di investire nel bel Paese.
Il problema della corruzione sembra quindi andare oltre i confini della politica, per soffocare l’intera società civile. Ne è convinto l’ex pm di Mani Pulite, Gherardo Colombo, anche lui intervenuto al seminario. «Gli italiani e le regole? Brutta storia. È la causa che mi ha portato, tre anni fa, a dimettermi dalla magistratura». Colombo, una volta svestita la toga, ha scelto di rimanere lontano dalla politica. Da settembre 2009 è presidente della Garzanti libri, ma nell’ultimo anno ha trovato il tempo per prendere parte a 300 incontri nelle scuole, per spiegare ai ragazzi che la legalità è un obiettivo a portata di mano. «Per 33 anni – racconta Colombo con una metafora – mi sono sentito come un idraulico chiamato a riparare un tubo del lavandino. Per far sì che l’acqua esca nuovamente dal rubinetto della cucina, il guasto va cercato in cantina. Ecco, io mi sono sempre occupato del tubo della cucina, mai di quello centrale».
Forse per questo ha lasciato la magistratura e sta alla larga della politica. Perché quella cantina va cercata altrove.
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