Va bene la solidarietà nazionale, ma con dei limiti. Che poi sono quelli di un sistema sanitario regionale che, oltre una certa soglia, non può andare. Personale, strutture, posti letto. La Sicilia si prepara a fare fronte all’ondata di contagi da coronavirus prevista dagli esperti e, nel frattempo, accoglie pazienti da fuori. Due cittadini di 61 e 62 anni sono ricoverati da sabato mattina all’ospedale Civico di Palermo. Sono arrivati da Bergamo, con un volo militare atterrato nel capoluogo regionale all’alba del 14 marzo. Sono i più gravi del presidio sanitario, gli unici in Terapia intensiva.
Le loro condizioni di salute sono monitorate costantemente dal personale medico. Per il momento, non è arrivato nessun altro. E nessun’altra richiesta è stata formulata all’assessorato della Sanità della Regione Siciliana. Passa tutto da lì e dal suo titolare, Ruggero Razza. «Stiamo lavorando per raddoppiare la nostra disponibilità, il presidente della Regione ci ha dato l’obiettivo di avere 200 posti dedicati all’emergenza coronavirus», dice lui.
Non c’entrano i singoli ospedali né la protezione civile regionale. La scelta se accogliere o meno pazienti contagiati dal Covid-19 è centralizzata. «Non dipende da noi e non possiamo sapere se arriverà qualcun altro né se arriverà nella nostra struttura», dicono direttori generali e sanitari di varie aziende ospedaliere dell’Isola, raggiunti da MeridioNews. «Noi, quotidianamente, comunichiamo alla centrale regionale del 118 quanti posti letto abbiamo a disposizione e in quali reparti. Lì si ferma il nostro compito», continuano. A quel punto la palla passa prima a Palermo e poi a Roma. La Regione Siciliana comunica alla rete Cross, la centrale unica per le emergenze sanitarie gestita dalla protezione civile nazionale, le proprie disponibilità. Le regioni del Nord, in questo momento di difficoltà, comunicano invece i propri bisogni.
Così sì fa sistema, o per lo meno ci si prova. Se in Lombardia i posti in Terapia intensiva sono quasi esauriti, in Sicilia c’è ancora spazio. Ma anche qui i malati in gravi condizioni aumentano: ieri erano 15. Il totale dei ricoverati (aggiornato a ieri), compresi i reparti di Malattie infettive, è di 71. «Abbiamo fatto il nostro dovere – spiega Razza – Ma la scelta di accogliere altre persone sarà presa di concerto con l’unità di crisi nazionale». Il rovescio della medaglia sono le richieste allo Stato: i dispositivi di protezione individuale (guanti, mascherine, tute, per citare i più comuni) sono merce rara negli ospedali nostrani, e la dotazione di ventilatori polmonari extra dovrà andare di pari passo con la creazione di nuovi posti letto. «Stiamo lavorando ad avere un’autonomia di terapia intensiva regionale», prosegue l’assessore.
I centri Covid-19 sono in parte operativi. All’ospedale di Caltagirone, nel Catanese, sono stati svuotati interi reparti per predisporre stanze a pressione negativa dove fare confluire i contagiati. Alcuni arrivano da Grammichele, dove l’Asp di Catania teme una nuova scia generata da un paziente ricoverato in Lombardia (dove si trovava al momento del manifestarsi dei sintomi) ma che avrebbe esercitato la sua attività professionale nel periodo precedente alla scoperta del contagio.
Per recuperare posti di Terapia intensiva, poi, si ricorrerà anche alle strutture private. Intervistata da MeridioNews ieri, Elena Ferraro, imprenditrice di Castelvetrano, ha messo la sua clinica a disposizione. Ma non ci saranno solo gli ospedali privati in senso stretto: anche la fondazione Giglio di Cefalù o l’Ismett di Palermo che, pur essendo enti di diritto privato, usufruiscono di capitale pubblico. La giunta regionale ha adottato un nuovo protocollo d’intesa. Lo scenario è il seguente: i pazienti non positivi al coronavirus che hanno bisogno dei reparti di Rianimazione andranno nelle strutture private, il pubblico invece farà posto ai Covid-19. Si scavano le trincee, mentre si attende di comprendere se le misure di contenimento della diffusione avranno funzionato. La risposta arriverà nei prossimi giorni.
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