Coronavirus, il racconto di un Oss bagherese al Sacco «La paura è palpabile, ne usciremo segnati per sempre»

Pietro Riccobono è un operatore socio-sanitario bagherese laureato in scienze politiche. Cinque anni fa è andato a Milano per un corso intensivo da operatore socio sanitario, ha fatto un colloquio e c’è rimasto. Tre anni intensi al San Raffaele e poi il concorso pubblico per entrare al Fatebenefratelli-Sacco. Oggi il suo è un ospedale covid-19. In soli cinque giorni un intero reparto pediatrico è stato stravolto, incrementando di 24 posti letto, due posti in terapia intensiva e altri due in sub-intensiva un’area adesso esclusivamente riservata ai malati di coronavirus. Il Fatebenefratelli-Sacco è la prima struttura in Italia ad aver fatto un’operazione del genere.

«Sono state chiuse quasi tutte le sale operatorie i reparti smantellati per far posto agli infetti – spiega Pietro – in termini di turni e orari abbiamo stravolto tutto, aumentando le ore, oltre che l’intensità. Si inizia a lavorare prima e si finisce dopo, i riposi diminuiscono o sono spezzettati. Serve più forza lavoro: se prima il sabato erano sufficienti due Oss, oggi ne servono sei».

E Pietro, che prima si occupava di sterilizzare e riprocessare gli strumenti chirurgici, adesso prepara e consegna kit monouso. Camici, guanti, maschere, gambali, tute tyvek. «Da noi passa tutto l’ospedale e dobbiamo far fronte ai continui cambiamenti organizzativi – racconta – vediamo gli umori e lo sfogo di tanti operatori. A fine giornata è davvero dura». In corsia «il clima che si respira è pesante. Ci troviamo ad affrontare una cosa nuova, sconosciuta e aggressiva». È così che appare il virus agli occhi di Pietro e di chi si ritrova come lui in prima linea a combatterlo negli ospedali. «Non è facile lavorare 12 ore con maschere, camici, tute e poter fare solo una pausa avendo l’accortezza di non sprecare i Dpi (dispositivi di protezione individuale ndr) perché sono contati. La paura è palpabile e ognuno reagisce in maniera differente, questa storia lascerà segni indelebili in ognuno di noi».

«Poi, avendo stravolto tutti i reparti, ci si trova a lavorare con sconosciuti e ciò rende tutto più difficile» sottolinea. Pietro ha vissuto da vicino le criticità sanitarie di cui si è tanto parlato. Dalla difficoltà nel reperire i dispositivi di protezione individuale per il personale sanitario, al sovraffollamento dei reparti. «Dopo un primo momento di estrema difficoltà nel reperire i Dpi, col passare dei giorni, siamo riusciti a fornire l’ospedale con un numero sufficiente di protezioni, anche grazie all’aiuto cinese – racconta a MeridioNews tra un turno e l’altro – senza avremmo avuto grosse difficoltà».

«Ci sono stati attimi di tensione quando in certi giorni non riuscivamo a dare le giuste protezioni in termini di maschere adeguate – continua – ora la situazione da questo punto di vista è accettabile, ma siamo sempre sul filo del rasoio». La paura di contrarre il virus c’è, spiega Pietro «e le notizie di colleghi ammalati non sono d’aiuto, anche dal punto di vista del morale, ma non possiamo farci niente se non cercare di prendere tutte le precauzioni possibili». Sono più di ottomila gli operatori sanitari rimasti contagiati dal coronavirus in Italia dall’inizio dell’emergenza e 63 i medici deceduti a causa dell’epidemia, secondo l’elenco stilato quotidianamente dalla Fnomceo, la federazione degli ordini dei medici.

I posti in terapia intensiva sono al collasso e per poter curare tutti, l’ospedale milanese ha smantellato e riconvertito i vari reparti. «Per far spazio ai vari pazienti infetti e organizzarci al meglio abbiamo diviso i vari reparti in base alla gravità dei malati – spiega Pietro – abbiamo così i reparti covid giallo, covid rosso e le terapie intensive. In questo modo possiamo dare le cure più adeguate a tutti». «Per adesso non siamo nella stessa situazione della Spagna, per fortuna – continua – purtroppo spesso i posti si liberano perché il paziente muore e il virus ha il sopravvento. Malauguratamente, nel caso ci si dovesse trovare nell’infausta posizione di scegliere, si opta per chi ha più possibilità. È una selezione naturale e può far impressione ma in casi estremi si è pronti anche a queste decisioni difficili e si è consapevoli».

Il problema sono i macchinari, che «non bastano per tutti – afferma l’Oss siciliano – la Russia e la Cina ci hanno dato una mano a tal proposito. I posti letto li troviamo da noi, ma senza supporto tecnologico adeguato il problema non si risolve. È questa una delle grandi sfide, servono respiratori, caschi, per mantenere i pazienti più gravi in vita. Il posto letto lo si trova, smontando sale operatorie, reparti, o trovandoli da altri spazi». Sulle ambulanze e i tempi di attesa «per adesso Milano regge – continua ancora Pietro – per fortuna non siamo nella stessa situazione di Bergamo. Il problema, invece, riguarda i molti senza tetto che in questa situazione si trovano in ulteriore disagio, molte strutture sono chiuse o al collasso. Con il freddo hanno malori e bisogno di cure. Insieme al virus purtroppo stanno nascendo altri mille problemi indiretti che spesso passano inosservati, ma sono altre storie».

Pietro vive a Desio e per andare a lavoro continua a prendere i mezzi pubblici. Un treno sub-urbano lo porta ogni mattina al Fatebenefratelli-Sacco di Milano. «Spesso sono solo nella carrozza o comunque ci contiamo sulle dita di una mano, ci si evita in modo cortese, ed è semplice. – racconta – Milano poi è irriconoscibile, deserta, con le forze dell’ordine che fermano i pochi viandanti. Il silenzio tombale è assordante e rende tutto ancora più surreale». L’operatore socio sanitario siciliano ha vissuto tutte le fasi che hanno caratterizzato la metropoli in quest’ultimo mese: dai flash-mob organizzati per farla ripartire allo svuotamento graduale e la chiusura di tutti i negozi e bar. «La vita è cambiata totalmente rispetto a un mese fa, oggi sembra tutto incerto e sopito, bisogna prendere mille precauzioni e accorgimenti e le giornate sono davvero pesanti sia dal punto di vista fisico che mentale – osserva – sono convinto che anche quando tutto ciò sarà finito non torneremo come prima, stanno succedendo troppe cose e stanno lasciando il segno».

«La sera, quando torno a casa, la paura, l’amarezza, il dispiacere si fanno strada – conclude – e poi c’è la consapevolezza che l’indomani si ricomincia e lì ci si fa forza, perché un giorno finirà. Dobbiamo vincere e dopo che avremo vinto bisognerà ripartire da queste macerie. Giusto oggi un amico in mensa un po’ giù di morale mi ha detto: “Vivevamo nel benessere, mai avrei pensato di dover affrontare un tale stravolgimento, siamo chiamati a una prova durissima, ma dobbiamo superarla”».

Maria Vera Genchi

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