Conte-bis, il senatore Giarrusso furioso con Di Maio «A causa sua siamo diventati minoranza al governo»

La trattativa condotta da Luigi Di Maio col Partito Democratico? «Un fallimento di cui adesso dovrà rispondere politicamente». Non ha dubbi il senatore pentastellato Mario Giarrusso, tra i favorevoli all’accordo di governo coi dem, ma furibondo per le modalità con cui è stata gestita la trattativa. «Abbiamo il 36 per cento dei parlamentari e siamo rimasti in minoranza in Consiglio dei Ministri (dieci M5s, nove Pd, uno Leu e un tecnico al Viminale ndr)». 

Senatore Giarrusso, le piace questo nuovo governo?
«Non abbiamo una domanda di riserva?».

Andiamo bene. Cosa non la convince?
«Non mi convince che siamo in minoranza in Consiglio dei Ministri. Non mi convince Gentiloni commissario Europeo. Non mi convincono certi nomi nella compagine di governo, come la De Micheli, che infatti sulla Tav si è già mostrata per quello che è».

Non è ottimista neanche sul futuro? 
«Ma guardi, io ho votato sì all’accordo e sono ancora convinto che si possa fare un ottimo lavoro. Ma il Partito democratico non deve dimenticare che noi siamo il Movimento 5 stelle. Noi saremo lì a ricordarglielo ogni giorno».

In molti si avventurano a immaginare addirittura alleanze elettorali tra dem e pentastellati.
«Mi pare che al momento non ce ne siano nemmeno le premesse. C’è un’intesa su un programma preciso, che non va malintesa dal Pd, perché non sarà mai rinnegare le nostre posizioni. Probabilmente chi è andato a trattare non ha saputo gestire la cosa».

Non giriamoci attorno: in molti siete rimasti male nei confronti di Luigi Di Maio.
«Rimanerci male è un eufemismo elegante. Queste sono responsabilità politiche gravi e precise. Come gruppi parlamentari avevamo chiesto di mandare a trattare colleghi che fossero espressione diretta dei deputati e dei senatori cinquestelle. Di Maio invece si è assunto tutta la responsabilità e i risultati sono sotto gli occhi di tutti».

È un giudizio che ribadisce la posizione espressa anche da Ignazio Corrao.
«I nostri europarlamentari hanno fatto un lavoro straordinario a Bruxelles. Eravamo arrivati lì come cani in una chiesa, mal visti da tutti, e siamo stati determinanti nell’elezione del presidente. Bisognava completare con un commissario all’altezza del ruolo, invece di mandare Gentiloni, che è una persona di profilo inadeguato a rappresentare il nostro Paese».

Chi sarebbe stato adeguato a suo avviso?
«Non è una questione di nomi, ma doveva essere un profilo scelto dal Movimento 5 stelle, perché rappresentiamo il 36 per cento in Parlamento e perché in Europa c’era un tappeto rosso pronto per una nomina di alto profilo espressione del M5s e invece il Pd ha scelto dal sottobosco romano una persona di ignota provenienza lavorativa».

Una definizione che riporta alle polemiche su titoli e curriculum tanto di Di Maio quanto della ministra Teresa Bellanova.
«No, guardi, non entro nemmeno nel merito, su Gentiloni è una questione ben precisa: parliamo di una persona che ha vivacchiato nel sottobosco romano fino a quando la giunta Rutelli, se non ricordo male, lo prese come assessore e da lì ha iniziato la sua carriera».

Insomma, quest’alleanza parte con più di una riserva. Anche sul fronte dei contenuti?
«Il problema è quello: che noi puntavamo ai contenuti, mentre gli alleati puntavano alle poltrone».

Come immagina questo governo tra sei mesi?
«Di qua ai prossimi sei mesi vedo un Movimento forte in Parlamento. Abbiamo una grande fiducia in Giuseppe Conte, ma bisognava dargli una squadra di alto profilo. Non meritava ad esempio la De Micheli ministra, per di più alle Infrastrutture».

Pensa che il governo precedente fosse migliore di questo?
«Noi eravamo più forti nel governo precedente e chi ha fatto la trattativa dovrà risponderne politicamente con tutti noi».

Vi affiderete ancora una volta a Rousseau?
«Anche lì, certo lo strumento deve cambiare perché non ha funzionato, è sotto gli occhi di tutti».

Nei giorni di formazione del governo uno dei nomi che girava con insistenza era quello di Giancarlo Cancelleri. Avrebbe apprezzato la scelta di assegnargli un ministero?
«Io stimo e apprezzo Giancarlo, ma qua l’offesa è più grave, perché è stata fatta alla Sicilia, che è la roccaforte del Movimento e ha avuto un solo ministro, mentre Regioni in cui siamo al lumicino hanno avuto due ministri, per giunta di caratura bassissima. Non è così che funziona, in questo modo si danneggia il rapporto coi territori, con le persone che hanno dato l’anima al Movimento. Si sono calpestate le speranze di quanti avevano scommesso sul M5s, consegnando tutti i ministeri di interesse per il Sud al Partito democratico».

La partita sui sottosegretari è ancora aperta.
«Speriamo di raddrizzare il tiro e riequilibrare la presenza per il Sud, per la Sicilia, ma anche per la Sardegna che non è stata rappresentata. È grave che anche Nicola Morra sia stato lasciato fuori all’ultimo minuto».

Dunque voterà la fiducia a questo governo?
«Lo scoprirà martedì».

Miriam Di Peri

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