Il re della sanità resta nudo. Disposta la sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno per cinque anni e la confisca dei beni per un totale di 15 milioni di euro nei confronti dell’ex deputato regionale della Democrazia cristiana, Pino Giammarinaro. Il provvedimento nei confronti del politico originario di Salemi – di cui già era stato destinatario tra il 2001 e il 2005 – è stato emesso dalla sezione misure di prevenzione del tribunale di Trapani e scaturisce dall’operazione Salus Iniqua, messa a segno nel 2011 dalla divisione anticrimine della questura trapanese di concerto con il nucleo di polizia tributaria della guardia di finanza. Giammarinaro a inizio anni Duemila fu assolto in un processo che lo vedeva accusato di concorso esterno in associazione mafiosa, dopo che i pentiti non confermarono davanti al giudice quanto detto in precedenza.
Nell’inchiesta era stato ricostruito il quadro di «rapporti di natura politico-affaristica in cui Giammarinaro si sarebbe mosso a partire dai primi anni Duemila e che gli ha consentito di controllare attività economiche nel settore della sanità, beneficiare di finanziamenti pubblici regionali e condizionare importanti settori della vita politica in particolare nel comune di Salemi». Senza esporsi, rimanendo sempre dietro le quinte. In particolare sono state individuate diverse società – tra le quali la C.e.m. e la Salus s.r.l. – e proprietà immobiliari che Giammarinaro avrebbe intestato a persona di fiducia per evitare le misure di prevenzione. Secondo gli investigatori, nel corso degli anni, l’ex parlamentare avrebbe determinato le nomine di manager e dirigenti sanitari negli ospedali del Trapanese e partecipato – senza alcun titolo – alle riunioni della giunta salemitana guidata dal critico d’arte Vittorio Sgarbi, cercando di influenzare consiglieri e assessori con indicazioni sulle nomine di funzionari.
Giammarinaro sarebbe stato solito incontrare spesso figure del mondo politico, tra le quali anche l’ex ministro all’agricoltura Saverio Romano. Per riuscirci avrebbe usufruito di false certificazioni che – secondo l’accusa – sarebbero state prodotte da un medico compiacente con l’obiettivo di sottrarsi ai vincoli della sorveglianza speciale, allontanandosi da Salemi per sottoporsi a controlli clinici che in realtà celavano incontri con politici e imprenditori. Con la loro complicità l’ex parlamentare sarebbe riuscito a gestire strutture di assistenza convenzionata con l’Azienda sanitaria: residence socio-assistenziali a Mazara del Vallo e Salemi, ma anche un centro di emodialisi di cui era socio assieme a un imprenditore mazarese in seguito ucciso. L’ex deputato regionale avrebbe avuto interessi, attraverso prestanomi e familiari, in diverse strutture sanitarie del Trapanese.
Secondo gli inquirenti, sarebbe riconducibile alle pressioni di Giammarinaro pure la mancata assegnazione all’associazione Libera di un terreno confiscato al narcotrafficante di Salemi, Salvatore Miceli. L’ex deputato regionale, nello specifico, avrebbe fatto pressioni sulla giunta Sgarbi, affinché il bene venisse dato a un suo amico. Il fondo, però, è rimasto «congelato». Le ingerenze che Pino Giammarinaro avrebbe esercitato sull’amministrazione comunale vennero denunciate all’epoca dall’ex assessore Oliviero Toscani che in seguito si dimise. Nel corso del processo, dinnanzi ai giudici della sezione misure di prevenzione, sarebbero inoltre emersi i presunti rapporti tra Giammarinaro e i cugini Nino e Ignazio Salvo, noti esattori ed esponenti di Cosa nostra. Il pubblico ministero Andrea Tarondo chiese infatti di acquisire il verbale della deposizione dell’attuale presidente della Repubblica Sergio Mattarella che, chiamato a testimoniare nel 1996 nell’ambito del processo a carico di Giulio Andreotti, parlò dei contrasti tra Giammarinaro e il fratello Piersanti a causa della realizzazione di una banca cooperativa a Salemi. «Mio fratello aveva intuito che dietro c’erano i Salvo e Giammarinaro era sicuramente un loro uomo», dichiarò Mattarella.
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