Comune sfrattato da Palazzo Palagonia La Corte d’Appello: «È di proprietà del Civico»

Il Comune sfrattato da Palazzo Palagonia. A stabilirlo è una sentenza della Corte d’Appello di Palermo, che rigetta la riforma della sentenza di primo grado, in cui si prevedeva la restituzione dell’immobile all’ospedale Civico. L’edificio ospita attualmente gli uffici della Direzione generale del municipio e ha una storia lunga centinaia di anni. L’impianto del palazzo ha origini medievali, ma poi fu acquistato e ristrutturato dai principi di Palagonia per essere trasformato nella residenza della famiglia a Palermo. 

La storia dello stabile si intreccia con quella della casata e delle riforme della sanità. La proprietà passa dal capostipite dei Palagonia, lo stesso che ideò e progettò la Villa dei Mostri a Bagheria, all’erede benefattore, oggi in odore di beatificazione: non avendo successori, questi lasciò tutto il patrimonio in beneficienza conferendolo in una fidecommissaria, ossia una sorta di fondazione. Da questo momento entrano in gioco i vari enti della sanità che si sono succeduti nel tempo: dapprima il bene confluisce nel patrimonio dell’ente ospedaliero che poté acquisirlo perché provvisto personalità giuridica e quindi di dotazione patrimoniale. Con la riforma del ’78, però, vengono istituite le Usl, paragonabili a meri uffici amministrativi carenti di soggettività e, di conseguenza, di patrimonio. Si stabilisce, dunque, di affidare gli immobili ai comuni

Alcuni poliambulatori, così, diventarono scuole, palazzo Bonagia ospitò diverse stagioni teatrali, lo stesso palazzo Palagonia divenne la sede della Direzione generale del Comune di Palermo dopo i lavori di ristrutturazione, ultimati nel 2004. Con l’introduzione delle Asl il quadro viene stravolto e si ritorna in presenza di enti muniti di personalità giuridica, con i beni che avrebbero dovuto essere restituiti in blocco dai comuni, ostili, però, al riconferimento. Iniziano, in questo modo, diversi giudizi, come quello conclusosi oggi in appello. 

Il Comune di Palermo, sia in primo che in secondo grado, ha chiesto la restituzione delle somme versate per le migliorie: istanza rigettata. Si parla di ben 3 milioni e 600mila euro di spese per la ristrutturazione, «che non vengono rifuse – spiegano Maria Cecilia e Marcella Peritore, legali fiduciari del Civico – perché i giudici hanno ritenuto la materia interamente regolata dalle leggi sulla sanità che si sono avvicendate, le quali non consentono di esperire l’azione di arricchimento e non stabiliscono nulla sulla rifusione delle spese». 

Adesso il Comune valuterà «una volta ricevuti gli atti e lette le motivazioni» se proseguire l’azione giudiziaria o abbandonare il contenzioso. «In ogni caso, anche alla luce dell’intervento compiuto negli anni dall’amministrazione nell’area, che era oggetto di profondo degrado e distruzione post bellica e ha visto ingenti investimenti anche per Palazzo Galletti, Palazzo Burgio e, per rimanere ai beni di stessa provenienza del Palazzo Palagonia, lo Spasimo – dice il sindaco Leoluca Orlando -, sono certo che non si potrà non tenere conto degli interessi pubblici perseguiti tanto dal Civico quanto dal Comune. Qualora tali interessi non dovessero prevalere e non fosse possibile un accordo, il Comune individuerà altri locali presso cui trasferire i propri uffici.

Insomma, una controversia dai contorni aspri e difficili da un punto di vista sia giuridico che giudiziario, che tuttavia ha permesso all’ospedale palermitano di fare un’importante acquisizione: il valore dell’edificio, quasi inquantificabile, ammonterebbe a svariati milioni di euro. E adesso? «Ora – continuano gli avvocati – le strade sono due: o la stipula di un affitto tra il Civico e il Comune, o il trasferimento della sede di rappresentanza dell’ospedale dai padiglioni a palazzo Palagonia». Un risultato ottenuto praticamente a costo zero per il Di Cristina, dato che nel disciplinare di incarico si limita l’onorario dello studio Peritore alla liquidazione giudiziale in caso di condanna alle spese, come di fatto è avvenuto. Un esito quasi inaspettato perché con la proposizione dell’appello era stata sospesa l’esecutività della decisione di primo grado. 

«Questa sentenza – concludono i difensori del Civico – sottolinea che occorre distinguere l’esigenza di contenimento della spesa degli enti pubblici dalla necessità di gestire al meglio questioni che riguardano patrimoni ingenti. Nell’attività che abbiamo svolto, infatti, è stato determinante l’aspetto della revisione degli elenchi patrimoniali, valorizzata dal giudice e non impugnabile da controparte, che solo chi è specializzato può condurre».

Redazione

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