Devono essere immediatamente reintegrati nei loro vecchi posti e il Comune di Catania deve pagare loro tutte le mensilità e i contributi previdenziali che non hanno percepito nei mesi in cui aveva efficacia un licenziamento che, secondo il giudice del tribunale del Lavoro Antonino Milazzo, è ingiusto. Sono Giovanni Salanitro e Agatino Clementi, i due ex conducenti di camion della nettezza urbana che sono stati mandati a casa dall’amministrazione il 7 novembre 2014. Poco dopo essere stati trasferiti in un ufficio diverso rispetto alla direzione Ecologia e ambiente in cui erano impiegati. Provvedimenti disciplinare dovuti a una dichiarazione che, per Palazzo degli elefanti, era falsa. E che invece, secondo la magistratura che si è espressa questa settimana, era perfettamente regolare.
Tutto comincia il 25 giugno 2013 quando Salanitro e Clementi compilano, come i loro colleghi, un documento volto alla prevenzione della corruzione. Un modulo all’interno del quale è necessario dichiarare se si hanno parenti che lavorano per aziende che collaborano con la stessa pubblica amministrazione. E che serve per evitare conflitti di interesse ed eventuali ingerenze nel lavoro degli uffici comunali da parte delle ditte private. Ma pochi giorni dopo i figli dei due lavoratori vengono assunti dalla Ipi srl, l’impresa che – assieme alla Oikos – gestisce il servizio della raccolta dei rifiuti nel capoluogo etneo. I contratti dei due giovani, stipulati alcuni giorni dopo la dichiarazione redatta dai genitori, durano dall’1 luglio al 31 agosto.
«Non ci sarebbero stati problemi se gli uffici comunali non avessero protocollato il documento di Salanitro e Clementi solo il 20 agosto 2013», spiega l’avvocata Rosaria Borzì, che difende i lavoratori. Tenendo in considerazione la data del protocollo, infatti, il documento dei due dipendenti conteneva informazioni sbagliate. Perché intanto i due figli avevano iniziato a lavorare per una società che di rapporti col Comune di Catania ne ha eccome. Ma «il fatto che la dichiarazione sia stata protocollata dopo non può essere certamente imputato al lavoratore». Perché il protocollo spetta agli appositi uffici dell’amministrazione e non è compito dei singoli dipendenti.
«La circostanza in questione, pertanto, non appare tale da fondare una sanzione di licenziamento», continua il magistrato Antonino Milazzo. Anche perché, prosegue il giudice, «in analoghi casi contro altri lavoratori sono state applicate sanzioni di lieve entità». «È una bella vittoria – afferma l’avvocata Borzì – Questi lavoratori hanno subito più di una ingiustizia». La prima sarebbe stata subire un trasferimento e, successivamente, un licenziamento. «L’altra ingiustizia deriva dal fatto che è partito tutto da una segnalazione della Ipi, nel 2014, che sosteneva di subire troppi controlli da parte dei due dipendenti». Un tentativo, secondo la ditta, di ottenere l’assunzione dei figli. «Ma se bastasse questo per farsi assumere dei parenti sarebbe veramente grave, oltre che ridicolo», commenta la legale. In ultimo, ci sarebbe la questione dei tempi: «Abbiamo fatto ricorso al rito Fornero per via dei tempi rapidi, ma la causa è durata due anni. Un’enormità per due persone che devono portare il pane a casa».
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