Comiso non decolla

Incatenarsi ai cancelli dell’aeroporto per sollecitare la sua rapida apertura. È quanto ha fatto Giuseppe Digiacomo, deputato regionale del Pd e sindaco di Comiso dal 1998 al 2008, per protestare contro il fatto che non sono ancora stati presi provvedimenti per far partire l’aeroporto di Comiso. «Il primo aeroporto italiano nato per volontà del territorio, e non in seguito ad una legge dello Stato», sottolinea. Un aeroporto di cui Digiacomo si ritiene “il padre”.

Della prossima apertura dell’aeroporto civile di Comiso si parla da anni. Nel 1999 quella che fu una ex base missilistica della Nato diventò, sotto il governo D’Alema, un sito per ospitare circa settemila profughi durante la guerra in Kosovo. Dopo questa operazione, che rientrava nella “Missione Arcobaleno”, il governo si impegnò per la realizzazione del nuovo aeroporto. I lavori sono stati ultimati nel 2007, ma da tre anni il governo nazionale tace sull’argomento.

«È tutto pronto», ribadisce Digiacomo. «L’ente aeroportuale è la So.a.co, il partner privato è la Sac (società aeroporto Catania). L’aeroporto possiede una pista di 2.700 metri, più lunga di quella di Fontanarossa, e può tranquillamente organizzare voli diretti su scala intercontinentale: è un ritardo che danneggia la nostra economia e non si può più accettare», conclude in maniera secca.

Quello di Comiso è un aeroporto intercontinentale, in grado di ospitare qualunque tipo di aeromobile e capace di offrire voli diretti con tutte le compagnie sul mercato. Progettato durante il ventennio fascista, nasce alla fine degli anni ’30, durante la seconda guerra mondiale, come base militare. La posizione strategica permette a Mussolini di controllare la flotta britannica, e di guardare in maniera più concreta alla conquista dell’Africa. L’inaugurazione dell’aeroporto è del ’39. Viene intestato a Vincenzo Magliocco, dal nome di un generale dell’aviazione morto durante la guerra d’Etiopia nel ’36.

Nel 1943 viene bombardato e raso al suolo dagli alleati per ben due volte: il 26 maggio e il 17 giugno, durante l’operazione denominata Husky. Nel dopoguerra viene ricostruito e convertito in una struttura per usi civili: la LAI (linee aeree italiane) investe sull’aeroporto organizzando un volo per Catania, con un bimotore capace di trasportare una cinquantina di passeggeri. Ma l’esperienza non va avanti.

In una situazione tutt’altro che stabile, l’aeroporto continua la sua attività economica: nel 1965 un’altra società, l’ATI, inaugura il volo Palermo-Comiso, linea che verrà chiusa nel 1972. Il progetto di risollevare l’economia ragusana accorciando le distanze con i grandi mercati del nord, non si traduce in realtà: l’aeroporto viene presto chiuso al traffico civile.

Negli anni ’80 il governo Spadolini vede in Comiso la sede più idonea per impiantare una base missilistica della Nato. Con i 112 missili Cruise a testata nucleare, Comiso diventa una delle principali basi del sud Europa. L’opinione pubblica e i movimenti pacifisti esprimono indignazione per la scelta. Molti siciliani, invece, sembrano quasi non capire la gravità dell’evento. È una situazione difficile da gestire per una piccola città del sud, che accoglie, impreparata, le troupes televisive e quei giovani che affollano le piazze e animano i dibattiti politici.

Dopo il declino del blocco sovietico, viene meno l’esigenza di difesa per gli americani: la base viene ridimensionata e poi chiusa alla fine degli anni ’90.

Dell’aeroporto di Comiso si torna a parlare nel 2008 per via della sua denominazione. La giunta comunale decide di intitolarlo a Pio La Torre, parlamentare del Partito Comunista, ucciso dalla mafia nel 1982. Ma il nuovo sindaco di Alleanza Nazionale fa marcia indietro e torna al vecchio nome di Magliocco.

Il resto è storia (ingarbugliata) dei nostri giorni: un problema di scartoffie che impedisce l’apertura di un grande sito aeroportuale, capace di gestire un importante bacino d’utenza.

Roberta Attardo

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