“Quando studiavo alla scuola di recitazione, pensavo che avrei interpretato per sempre il punk, il protettore o il killer. Adesso la critica inglese mi associa sempre alla classe intermedia. In Gran Bretagna la gente è ossessionata dalle classi sociali e da questo non si può sfuggire”. Così parla al suo pubblico Colin Firth, che ieri mattina ha tenuto a sorpresa una lezione di cinema nella sala A del Palazzo dei Congressi di Taormina, durante la giornata di chiusura della 56esima edizione del Tao Film Fest.
Durante la master class, annunciata solo pochissime ore prima del suo svolgimento, l’attore inglese, famoso per aver recitato in film come Valmont di Milos Forman e La ragazza con l’orecchino di perla di Peter Webber, ha risposto alle numerose domande che gli sono state poste dal giornalista Shane Danielsen e dal pubblico presente in sala.
Riguardo il suo lavoro di attore e al rapporto che ha intrattenuto con i registi con cui ha collaborato ha raccontato che “non esistono manuali da seguire quando si recita. La realizzazione di una pellicola è fatta di eventi che non possono essere previsti. Lavorare con un determinato regista può essere fantastico per certi attori mentre per altri può essere l’esatto contrario. Un bravo regista deve saper comunicare, e questo non implica necessariamente l’uso delle parole: alcuni sono bravi ad utilizzarle altri no, e comunque da attore non ci si sente persi”.
Colin Firth ha poi parlato della sua esperienza sul set di A single man, pellicola girata in California nel 2008 e diretta dall’ex stilista di Gucci Tom Ford, al suo esordio cinematografico. Il film, che si basa sul famoso romanzo intitolato Un uomo solo scritto da Christopher Isherwood, è stato presentato alla 66ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia e ha permesso all’attore di Bridget Jones non solo di vincere la Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile, ma di ottenere la sua prima candidatura agli Oscar 2010 come miglior attore protagonista.
”Tom è stato accusato di rendere il film troppo bello dal punto di vista estetico e di farlo quasi sembrare uno spot pubblicitario –racconta Firth riferendosi al regista di A single man. Credo che questa accusa possa dipendere dal fatto che negli anni 80′ sono stati realizzati molti film estremamente glamour: purtroppo si trattava di prodotti cinematografici completamente vuoti. Comunque io non credo che tutte le pellicole dotate di un buon impatto visivo siano prive di significato”.
Quando qualcuno gli chiede se gli piace lavorare con registi esordienti come Tom Ford risponde che “se si rifiuta di lavorare con delle persone soltanto perché sono alla loro prima esperienza si rischia di escludere dei grandi registi”.
L’attore britannico ci ha poi parlato del suo ultimo progetto cinematografico: ”Il film racconta la storia del re dislessico George VI, incoronato in seguito all’abdicazione del fratello Edoardo VIII, che decise di rinunciare al trono per sposare la sua amante americana più volte divorziata Wallis Simpson”.
Durante la chiacchierata con il pubblico presente, Firth confessa che preferisce lavorare nelle produzioni inglesi. “Non ha mai opposto resistenza alle produzioni americane –dice- soltanto non ho trovato gente che mi stesse aspettando con le braccia aperte. Non è una questione di lealtà, ma di preferenza. Per fare buoni film bisogna trovare storie che ti interessano: io le trovo nel mio universo. Mi sento più vivo se posso nutrirmi dell’humus inglese”.
Colin Firth racconta di aver viaggiato molto con la sua famiglia e per questo di non avere un forte senso di nazionalità: “non mi sono mai sentito particolarmente legato ad un luogo rispetto che ad un altro. Non mi identifico con il mio passaporto. Appartengo al genere umano e le distanze geografiche non precludono le nostre responsabilità. Posso essere a mille miglia da un posto e sentirmi responsabile dei problemi di quel luogo”.
Riguardo quello che lo ha maggiormente colpito nel cinema degli ultimi dieci anni, dice che gli è molto piaciuto Heath Ledger nel film The Dark Knight e che in generale ammira “un tipo di recitazione non troppo esplicita e che sia autentica: il pubblico non deve accorgersi che un attore sta recitando”.
Alla domanda se gli è mai capitato di sentirsi finito come attore risponde ironicamente di aver provato questa sensazione “almeno otto volte al giorno durante le riprese di Mamma Mia! di Phyllida Lloyd. Ogni volta in cui ho dovuto ballare mi sono sentito alla fine. In tutte le scene che sono riuscito a girare senza provare vergogna mi sono divertito come quando si è ubriachi ad una festa. Se sono sopravvissuto a questo, posso riuscire a farlo per qualsiasi altra cosa”.
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