Circolo Sant’Agata, parla il nuovo presidente Sacco «Sono un traghettatore. Ombre? Ci sono le regole»

Dopo l’esperienza da presidente dal 1986 al 1995, Marcello Sacco torna a essere la guida del circolo cittadino di Sant’Agata. La prestigiosa congregazione di devoti, commissariata negli ultimi dieci anni e fondata dal cardinale Giuseppe Dusmet nel 1874. Da mettere in archivio c’è un processo per le infiltrazioni mafiose nei festeggiamenti e la concessione delle tessere numero uno e numero due ad Antonino Santapaola ed Enzo Mangion. Sacco alla fine ha vinto con 113 voti, superando l’imprenditore Alessandro Sicurella, fermatosi a 86 preferenze. Alle urne si sono recati 199 iscritti su 286 tesserati. Mentre a comporre il consiglio direttivo ci saranno Gaspare Drago, Gaetano Valenti, Ugo Andriolo, Giovanni Scalia, Salvatore Marletta e Antonio Intravaia. A caratterizzare il voto un approfondimento di questa testata, che ha fatto emergere una presunta riscossione crediti che Sicurella avrebbe richiesto nel 2017 alla famiglia Marino, associata ai Santapaola-Ercolano di San Giovanni Galermo.

Dieci anni di commissariamento sono tanti. Con che clima siete andati a votare?
«C’è stata la giusta tensione ma anche un buon segnale che ci arriva dal numero di soci che si sono recati alle urne. Adesso bisogna lavorare sperando in un clima di pacificazione, fermo restando che ci sono una serie di obblighi da rispettare. Noi siamo devoti di Sant’Agata e il nostro unico obiettivo è quello di reinserimento nel tessuto sociale».

Con tutto quello che è successo, compreso il processo sulle presunte infiltrazioni mafiose, non c’è il rischio che il circolo di Sant’Agata continui a essere visto di cattivo occhio?
«Parlare del passato non è di mia competenza. C’è chi ha già affrontato e superato un processo. Sono soci del circolo e nessuno può dire niente. Dobbiamo però capire che bisogna mettersi in un alveo di cristianità. Smettendola di guardarsi in cagnesco».

Non c’è dubbio però che ci sono personaggi che definire discutibili è dire poco. Che linea seguirà con loro?
«Lo statuto parla chiaro. Io sono presidente del presente e del futuro. In questo momento ci sono delle regole da rispettare e dei soci che hanno fatto una autocertificazione e che quindi sono in regola con il tesseramento».

Che posizione ha rispetto al nuovo statuto per le associazioni agatine?
«Sono regole che stanno già nel Vangelo».

Resta il fatto che si vuole imprimere un cambiamento.
«Prima non erano messe nero su bianco. Questa è l’unica differenza. Noi siamo comunque favorevoli, altrimenti non ci sarebbe stata nemmeno la candidatura. Non si può essere devoti di Sant’Agata tre giorni l’anno. Per questo c’è bisogno degli uomini di chiesa: i sacerdoti. O per dirla alla catanese: i parrini. Noi siamo esseri umani e abbiamo bisogno di una guida».

Cosa cambierebbe della festa?
«Non leggetemi come un maschilista perché non è assolutamente vero. Ma ho notato che da quando c’è stata l’apertura alle donne nel cordone c’è un senso di anarchia»

In che senso?
«Ognuno sfoga la propria devozione in modo particolare. Per questo motivo in una festa che considero un momento di evangelizzazione di massa c’è bisogno di più parroci in mezzo alla gente. I soci devono camminare rispettando il Vangelo ma hanno bisogno di una guida e a Catania ci sono tanti preti di buon livello».

Quindi con loro si potrebbe tornare a dare uno spirito diverso?
«Ripeto: non si può essere devoti tre giorni l’anno». 

Perché ha scelto di candidarsi?
«Ritenevo di avere già dato negli anni ’80. Poi sono stato coinvolto da un gruppo di ragazzi che mi hanno chiesto la mia esperienza per farli crescere. “Volete che faccia il traghettatore?” Gli ho detto che ero disponibile». 

Uno dei nodi delle ultime edizioni è quello sui ritardi nel rientro del fercolo.
«La festa di trent’anni fa non richiamava la massa di persone che c’è adesso. Non si può imputare tutto ai torcioni».

Però sono loro i principali sospettati.
«Sappiamo cosa ha dentro chi porta cento chili di cera sulle spalle? Credo che non sia esibizionismo. Bisognerebbe parlare a queste persone, ma con una parola dolce. Questa è la mia idea»

Mancata salita di via san Giuliano. Che idea si è fatto?
«Non ero presente ma ho osservato in televisione. C’è stata una presa di posizione ma come in tutti i casi non si è mai contenti. Se c’erano situazioni critiche è stato meglio scegliere il male minore».

Dario De Luca

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