Cioccolato barocco

«Di inarrivabile sapore, sicché a chi lo gusta sembra di essere arrivato all’archetipo, all’assoluto, e che il cioccolato altrove prodotto – sia pure il più celebrato – ne sia l’adulterazione, la corruzione…». Leonardo Sciascia lo definì così il cioccolato di Modica. Un alimento peculiare che in questa terra ha una antichissima tradizione ed è preparato secondo una antica ricetta che risale alla dominazione spagnola in Sicilia, ma che affonda radici antichissime nelle civiltà Maya e Azteca.
Questo cioccolato è molto diverso da quello industriale a cui sono abituati i nostri ingenui palati: viene preparato schiacciando le fave di cacao, addolcito con lo zucchero di canna ed eventualmente arricchito con aromi, tradizionalmente alla vaniglia, alla cannella o al peperoncino. Ha un aspetto e una consistenza ‘ruvida’ e un gusto particolare, ‘grezzo’. A Modica il procedimento è stato tramandato e custodito per generazioni tanto che lì oggi «tutti i nonni lo sanno fare», ma anche i giovani lo hanno saputo valorizzare spesso con iniziative davvero innovative.

Modica è ricca di dolcerie e cioccolaterie lungo il corso del centro storico e noi la storia e la tradizione siamo andati a farcela raccontare in una di queste, alla dolceria Bonajuto, «la più antica fabbrica di cioccolato in Sicilia», come ci dice il proprietario Pier Paolo Ruta. Lui ci racconta come una favola la storia del cioccolato: dai Maya agli Aztechi, gli Spagnoli impararono l’arte del cioccolato e poi la diffusero nel mondo finché, durante la loro dominazione in Sicilia, arrivò a Modica. La tecnica di lavorazione adotta sistemi manuali usati fin dal 1700 che non sono andati perduti e che rendono il cioccolato di Modica così particolare e riconoscibile. Gli chiediamo come si è svolto per loro il passaggio dalla tradizione alla modernità. «Il nostro è stato un lavoro di recupero, unito all’impegno di comunicare al mondo un prodotto che si era conservato puro, non passando mai allo stato industriale. Il cioccolato non è stato modificato nelle sue caratteristiche di purezza: è sempre un cioccolato che non contiene burro di cacao aggiunto, né altri grassi vegetali, non viene cotto ad alte temperature. Nel cioccolato industriale c’è una fase di lavorazione definita concaggio durante il quale scompaiono quasi 380 aromi volatili appartenenti ai semi del cacao.» Ruta ci spiega anche l’origine di uno dei prodotti di punta della tradizione della città e della loro dolceria, le impanatigghi: «di origine spagnola anch’esse, biscotti particolarissimi che si fanno ancora oggi a Modica col cioccolato e la carne. Il nome deriva dallo spagnolo impanadìas, che sono dei biscotti nati per conservare la carne perché il burro di cacao permetteva alla carne di conservarsi a lungo in un’epoca in cui non esistevano i frigoriferi. Questo connubio è rimasto e si lega anche al concetto di cioccolato come cibo, come alimento, più che come qualcosa destinato alle classi sociali alte. A Modica esisteva il mestiere di cioccolatiere, un artigiano che faceva in casa il cioccolato e lo vendeva in giro per strada, alla stessa stregua del panettiere. Anche in questo c’è un legame forte con la Spagna, dove fino a inizio Novecento è rimasta questa tradizione di lavorare il cioccolato in casa.»

Ma oggi il cioccolato a Modica, se non ha dimenticato la tradizione soprattutto nella fase della preparazione, ha sposato l’innovazione, la modernità e il marketing: da tre anni ormai la città è stata definita «il polo sud del cioccolato» poiché è sede di una manifestazione internazionale nata originariamente a Perugia, l’Eurochocolate, e poi approdata in Sicilia per dare risalto ai produttori locali e favorire lo scambio con altri produttori provenienti da tutta Europa. In questa occasione sono nate delle iniziative originali che hanno portano il cioccolato nell’ambito della creatività e della sperimentazione: per esempio sono stati coinvolti gli studenti di Design di Palermo in una gara sul packaging del cioccolato, che ha dato vita a confezioni originalissime; gli studenti delle scuole superiori di Modica hanno realizzato sculture di cioccolato, e altre iniziative; in più l’Eurochocolate ha creato il marchio ‘costruttori di dolcezze’ (www.costruttorididolcezze.it) che ha dato vita a prodotti innovativi e interessanti come la ‘Cazzuola’, ovvero una cazzuola in plastica con una fetta di cioccolato che poi diventa un portatorte, o la ‘Chocopirina’, ovvero una confezione di pastiglie di cioccolato che richiamano quelle del più noto antinfiammatorio. Durante la scorsa edizione dell’Eurochocolate avevamo incontrato Eugenio Guarducci, il presidente dell’Eurochocolate, che si diceva molto soddisfatto della manifestazione siciliana e che aveva sottolineato una particolarità della città di Modica in relazione al rapporto con il consumatore di cioccolato: «a differenza di altre città, qui veramente il cioccolato si respira in ogni angolo, passeggiando per il Corso Umberto principalmente, poi anche nelle altre viuzze si scoprono, si sentono questi odori di pasticcerie, di dolcerie, di cioccolaterie che rendono unica l’atmosfera della città e quindi di Eurochocolate. A differenza di Perugia, dove in corso Vannucci questo fenomeno non c’è: c’è l’Eurochocolate ma accanto non ci sono dolcerie, cioccolaterie. La cioccolateria c’è, molto grande, si chiama Perugina, ma è a dieci chilometri dal centro storico, insomma non c’è il contatto diretto. Qui chi partecipa all’evento ha la possibilità di scoprire il cioccolato andando dentro i centri di produzione

Continuando il nostro viaggio all’interno del mondo del cioccolato modicano, scopriamo che il cioccolato può anche rappresentare un’occasione di solidarietà e di riscatto: esiste a Modica una struttura no-profit davvero speciale, che accoglie delle donne con problemi familiari o vittime di violenze, insieme ai loro bambini, e che, oltre a un supporto psicologico, offre loro la possibilità di recuperare la propria dignità ed autostima attraverso il lavoro in un laboratorio dolciario. Questo laboratorio, intitolato a Don Pino Puglisi (www.laboratoriodonpuglisi.it), il coraggioso sacerdote ucciso dalla mafia, per la sua particolarità è stato menzionato dalle principali testate nazionali, come La Repubblica e Famiglia Cristiana, ma anche all’estero il New York Times ha definito ‘eccezionale’ la loro cioccolata e Eat Out, una rivista australiana, l’ha inserita tra le ‘dark stars’, le dieci stelle nere del cioccolato nero in tutto il mondo, definendola «una delle esperienze più dolci da fare in giro per il mondo». Abbiamo visitato questo posto grazie a Emanuele Spadaro, un volontario della casa di accoglienza da cui il laboratorio dipende. È sito in un suggestivo vicolo settecentesco collegato al Corso Umberto da una scalinata in pietra. Sono due grandi stanze bianche, colorate solo dagli aromi che si respirano immediatamente nell’aria. Quando arriviamo le ragazze sono in fermento, a dirigerle amorevolmente c’è una maestra pasticcera, la signora Lina, una pasticcera che ha ottenuto anche dei riconoscimenti nazionali. «Per me loro ormai sono brave a fare tutto» afferma sorridendo, e ci fa vedere tutte le cose buone in preparazione: biscotti con cioccolato e il latte di mandorla; le classiche ‘mpanatigghi, un biscotto a forma di mezzaluna ripieno con un impasto di filetto di manzo macinato, cioccolato, mandorle, zucchero, aromi naturali, e poi gli arancini al cioccolato. Vediamo un grosso cubo nero, lucente: è la pasta di cacao che poi verrà mescolata con lo zucchero di canna e infine aromatizzato.

«Il lavoro per loro è molto importante» ci dice Rosa «io le vedo molto felici e soddisfatte». Ed è vero, l’atmosfera qui è serena, familiare. Anche se le ragazze lavorano c’è lo spazio per una battuta: «diteglielo voi se siete felici qui». Rosa, una delle ragazze si gira sorridente e ci dice che lei lavora bene perché c’è la signora Lina con lei. Poi Lina ci dice delle ragazze: Rosa e Antonella sono le più ‘anziane’ della casa, sono lì da circa 4 anni. «Le altre di solito girano, dipende dai casi, dai soggetti, e non tutti sono in grado di svolgere l’attività al laboratorio». Chiedo quali sono i motivi che portano le ragazze qui, ma non è facile ricondurre i motivi a categorie generali, «ogni accoglienza ha la sua storia» E poi aggiunge «noi facciamo il minimo, sono loro che danno a noi». «I bambini soprattutto» aggiunge Emanuele «quando ho una giornata no, vado al centro e i bambini sono…» «meravigliosi» suggerisce la signora Lina, «i bambini sono molto affettuosi, loro hanno bisogno di amore quindi se si sentono amati ricambiano con un’affettuosità straordinaria. La maggior parte delle volte ricevi non dai, e se dai uno ricevi mille». Poi ci parlano della casa di accoglienza dove si organizzano delle attività, che permettono alle ospiti di sentirsi parte di un insieme. È il progetto «Alfabeti di comunità». Alfabeti intesi come quelle basi di comunicazione e amore presenti in ogni comunità umana sana. La casa in questo senso «non è un luogo di semplice assistenza, ma un luogo di rielaborazione delicata e attenta di relazioni e di senso» dove le mamme anche «segnate da profonde ferite fanno riemergere attenzione e cura verso i loro bambini». Nel laboratorio Don Puglisi comprendiamo davvero quale dolce segreto Modica porta in sè.

Sara Ridolfo

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