«Catania deve mantenere la facoltà di Lingue. Ci sarà il quarto polo? Vogliono fare la facoltà di Lingue? Auguri. Qui non si deve smantellare». Antonio Pioletti, ordinario di Filologia e preside fondatore della facoltà di Lingue e letterature straniere, è più che fermo nella difesa della facoltà che ha guidato per due mandati. Anche per lui la notizia di un’ipotetica chiusura è stata una sorpresa amara: «In tutte le delibere del Senato accademico dell’Università di Catania è sempre dato esplicitamente per scontato che i corsi di laurea di Lingue restassero, anzi che venissero potenziati».
Partiamo subito con una domanda sulla “paternità” di questa Facoltà. Il presidente del Consorzio Giovanni Mauro ha dichiarato che Lingue «è una Facoltà che nacque pensando alla sede di Ragusa». È così?
«È del tutto falso che l’Ateneo, quando ha deliberato la nascita di Lingue, intendesse chiudere Catania a favore di Ragusa e sarebbe stato strano il contrario: il bacino di utenza che Catania ha sulle lingue è il doppio – se non di più – di quello che poteva assicurare la provincia iblea. Sarebbe stato autolesionistico, presbite e miope al contempo».
Ma la sede legale è Catania o Ragusa?
«Su questo la convenzione istitutiva è estremamente ambigua, ma non abbiamo mai fatto un problema perché abbiamo sempre detto “one school, two campus”, una facoltà due campus».
Cosa significa nello specifico?
«Per noi Catania e Ragusa sono un tutt’uno, ma con delle specializzazioni ed è questo che conta: differenziare l’offerta formativa. Non a caso a Ragusa era stata prevista l’orientalistica».
Uno degli interrogativi riguarda gli insegnanti che decideranno di insegnare in questo nuovo ente.
«Se nasce il quarto polo e ci sarà una facoltà di Lingue a Ragusa, non so quanti dei nostri docenti opterebbero per insegnarvi; se lo facessero e se venissero indetti dei concorsi, ben venga. Anzi, daremo anche una mano d’aiuto. Ma per avere una facoltà minimamente degna di questo nome passeranno 10-15 anni, quindi avremmo per 10-15 anni una realtà allo stato embrionale e chiuderemmo l’unica esistente. Un’operazione che dal punto di vista manageriale, come si suol dire in questi casi, sarebbe stupida e sbagliata».
Qual è lo stato della Facoltà nella sua sede ragusana?
«Ragusa per un certo periodo ha funzionato discretamente bene; è una prova della serietà della facoltà. Se vogliono che resti Lingue è perché hanno toccato con mano la qualità della nostra presenza».
Il presidente Mauro ha affermato che logisticamente Ragusa sarebbe pronta. Lei che conosce l’ambiente, cosa ne pensa?
«Un po’ di strutture ci sono, ma negli ultimi tempi ci sono state delle difficoltà finanziarie e determinate questioni hanno lasciato a desiderare. Le aule ci sono, ma il laboratorio in atto è quasi smantellato. Un altro grande laboratorio multimediale non è mai decollato come poteva e non per colpa nostra».
E le biblioteche?
«La biblioteca non è all’altezza di una facoltà umanistica, è allo stato embrionale. Meno male che c’è stata la donazione Zipelli, contro cui il Consorzio ha fatto sempre polemiche».
Come prevede che andrà a finire?
«Ancora non c’è nulla di formalizzato. Credo che il Rettore sia in contatto con Ministero e Consorzi e dovrà dire cosa si è deciso, qual è il progetto che si vuole portare avanti. Il Senato deciderà e mi auguro che lo farà per il meglio».
Ossia?
«Lasciare la facoltà di Lingue almeno fino a quando ci saranno le facoltà. Dobbiamo uscire dall’impostazione di discutere di scatole vuote. A me non interessa l’etichetta “facoltà”, a me interessano i contenuti. Investiamo nell’insegnamento delle lingue, delle culture straniere, nell’orientalistica, potenziamo l’asse euro-mediterraneo oppure no? Questo è quello che conta. Non le etichette».
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