Chinnici, l’uomo che per primo capì chi era veramente Vito Ciancimino

Il 29 luglio del 1983 -esattamente 29 anni fa – la mafia uccideva Rocco Chinnici, l’allora capo dell’Ufficio Istruzione del Tribunale di Palermo. Fu un delitto efferato, compiuto con il ricorso a quella che allora veniva definita “tecnica libanese”: una bomba. Tritolo piazzato sotto la sua abitazione di Palermo, in via  Pipitone Federico.

La tremenda esplosione, oltre a Chinnici, ucciderà il maresciallo Mario Trapassi, l’appuntato dei Carabinieri, Salvatore Bartolotta e il signor Stafano Li Sacchi.

Rocco Chinnici è stato un grande magistrato. Forse uno dei primi – insieme con Gaetano Costa, ammazzato tre anni prima, sempre a Palermo e sempre dai mafiosi – a capire che per combattere la mafia non bisognava a avere timori reverenziali verso la politica.

Oggi è facile guardare alla mafia e ai suoi rapporti con la politica. Allora non era semplice. Per tanti motivi. Non ultime, le reazioni dello stesso mondo politico italiano, che quando si vedeva chiamato in causa per rapporti con la mafia si chiudeva a riccio.

Di Chinnici si ricorda il pool antimafia. Sua l’intuizione di una squadra di magistrati dediti alle inchieste sulla mafia. Pronti a scambiarsi preziose informazioni e a lavorare, appunto, insieme. Anche per essere meno vulnerabili, si diceva allora. Perché la mafia non avrebbe potuto ammazzarli tutti.

Purtroppo, la previsione si è avverata fino a un certo punto, se è vero che la mafia, oltre a far saltare in aria Chinnici, ammazzerà, negli anni successivi, altre uomini delle istituzioni. Per non parlare di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, per i quali sarebbe più corretto parlare di delitti di Stato e di mafia.

Con molta probabilità, su altri giornali leggerete notizie più dettagliate sulla vita di questo grande magistrato. Sulle indagini successive al suo delitto. Sui depistaggi. Sul processo. Sul ruolo svolto dal giudice della Cassazione, Corrado Carnevale.

Noi, invece, nel ricordare Chinnici, ci vogliamo soffermare su due punti, oggi estremamente attuali e legati tra di loro.

Primo punto. Oggi ricordiamo Chinnici mentre è in corso un tentativo, neanche troppo velato, di non far venire fuori la verità sulla trattativa tra Stato e mafia. Quello che pensiamo noi di questa trattativa l’ha scritto la scorsa settimana il nostro Stefano Vaccara.

La trattativa, anzi, le trattative tra Stato e mafia ci sono sempre state. Lo stesso Garibaldi, senza la mafia, con i suoi Mille, non sarebbe entrato vittorioso in Sicilia. Così come senza Lucky Luciano gli americani, nel 1943, non sarebbero sbarcati nell’Isola con la facilità con la quale sbarcarono.

Spiace ricordarlo, ma la storia d’Italia, dal 1860 fino ai nostri giorni, è anche la storia di una lunga trattativa tra Stato e mafia. Non a caso, ancora oggi, ci portiamo dietro questo fardello.

Con la caduta del Muro di Berlino e con il successivo crollo dell’ex ‘Impero comunista’ qualcuno – dentro e fuori il nostro Paese – pensa di potere fare a meno dei mafiosi. Che, non a caso, reagiscono in modo pesante.

I segnali – almeno in Sicilia – del tentativo dello Stato di affrancarsi dalla mafia e della possibile reazione furibonda dei mafiosi – ci sono tutti già nel 1991. Troppe cose strane, ad esempio, si verificano nelle elezioni regionali di quell’anno e, in generale, nel mondo politico isolano.

Il 1992 – questa è storia nota – è l’anno dell’omicidio di Salvo Lima – messaggio preciso a Giulio Andreotti – e delle stragi di Capaci e di via D’Amelio. Con molta probabilità, la trattativa -o le trattative – tra Stato e mafia sono già in corso. E precedono le stragi, che ne sono la conseguenza.

La mafia ‘chiede’. Alla sua maniera: con omicidi e bombe. E ‘qualcuno’ accetta di ‘trattare’. Chi?

E’ quello che stanno cercando di scoprire i magistrati. Ed è importante, oggi – giorno in cui ricordiamo il sacrificio di Rocco Chinnici – manifestare solidarietà alla magistratura contro una politica arrogante e sempre più gelosa dei propri misteri. Una politica che sta anche strumentalizzando la morte di Loris D’Ambrosio, dimenticando la dinamica dei fatti. E dimenticando, soprattutto, che il passaggio a miglior vita – e questo vale per tutti – non ci salva dai nostri peccati. Perché ci aspetta il giudizio di un Tribunale ben più importante di quello terreno.

Il secondo punto che vogliamo oggi ricordare riguarda le intuizioni e l’attività investigativa di Rocco Chinnici. Con molta probabilità, è il primo magistrato a capire, in tutta la sua portata criminale, il ruolo di Vito Ciancimino. Con molta probabilità, senza le indagini e le intuizioni di Chinnici – e senza il suo coraggio – la politica siciliana d quegli anni non avrebbe trovato la forza per iniziare un difficile e problematico allontanamento di Ciancimino dalla vita dei partiti.


Il 1983 è l’anno del congresso regionale della Dc di Agrigento. E”anno in cui la Dc di Ciriaco De Mita metterà Ciancimino fuori dal partito. Per la politica, non soltanto siciliana, è una data importante.

Certo, Ciancimino resterà ancora a lungo ai vertici del potere di Palermo, della Sicilia e della mafia. Basti pensare che alla fine degli anni ’80 – e cioè durante la ‘Primavera’ di Palermo di Leoluca Orlando – controllava gli appalti pubblici della città.

Ciancimino resterà ancora in sella negli anni ’90, con un ruolo non certo secondario nella trattativa tra Stato e mafia.

Tutto si tiene, come si può notare. Ciancimino è l’anello di congiunzione tra gli anni delle bombe che uccidono Chinnici e la trattativa Stato-mafia.

Oggi ricordiamo Chinnici e il suo sacrificio. Le sue intuizioni e il suo coraggio. E ci auguriamo che il nostro Paese riesca finalmente a ricostruire – e ad accettare – le verità scomode.  

Foto di prima pagina tratta da terradinessuno.wordpress.com   

Redazione

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