Pigiami in pile con orsetti sognanti. Tappeti da bagno a forma di piedi di un rosa sgargiante. Calzini corti, medi, lunghi e fantasmini monocolore, a strisce colorate, con i disegnini. Batterie da cucina che vanno dal pentolino per riscaldare una tazza d’acqua al pentolone comunemente usato nelle grandi mense. La musica, poi: l’hit dell’ultimo cantante napoletano mischiato alle voci dei proprietari delle bancarelle che giornalmente si fanno “guerra” tra loro per il prezzo più basso. La “fera o’ luni” a Catania è così: un caos.
In questa storica zona del commercio a basso costo, da circa quattro-cinque anni c’è una novità: le lanterne rosse. Simbolo della tradizione cinese, originariamente la lanterna veniva accesa dal marito poligamo nella stanza della donna con la quale avrebbe trascorso la notte. Adesso le lanterne rosse, in qualsiasi parte del mondo, indicano la presenza di attività cinesi. Nella sola via Teocrito, sempre in zona fiera, proprio alle spalle delle bancarelle con cartelli rettangolari che indicano i prezzi della merce, con il loro disordine e i loro rumori siciliani, ci sono ben quindici lanterne rosse in circa trenta metri di strada. I proprietari, per quanto numerosi, rimangono in silenzio. Parlano solo tra di loro.
“Non comunicano con noi, però sono molto educati” dice uno dei tre negozianti italiani della stessa strada, che hanno visto nascere nell’arco di pochi anni questa micro Chinatown catanese. “Non ci sono più negozi italiani nella zona, di conseguenza anche il nostro profitto è diminuito” continua. È un signore sulla cinquantina, proprietario di un negozio di prodotti dietetici attivo da molti anni. “Ma non penso che la colpa sa solo loro”, conclude facendo spallucce.
A qualche metro di distanza, attraversando la folla di clienti della fiera che va dalle studentesse liceali alle vecchiette con il bastone, un’altra proprietaria italiana di un negozio di abbigliamento la pensa in modo diverso: “Prima qua era tutto “italiano” e adesso loro hanno in mano tutto. Si occupano di tutti i settori di vendita in questa zona, l’unico che non hanno ancora toccato è quello della frutta. Si vende di meno e le cause principali sono due: da un lato il prezzo dei loro prodotti, che è molto più basso rispetto a quello dei prodotti italiani; dall’altro il fatto che la gente non viene più a comprare in questa zona perchè ci sono loro”.
Tutti i negozi di proprietà cinese in via Teocrito si occupano principalmente di abbigliamento, sia al dettaglio che all’ingrosso. E proprio per quanto riguarda quest’ultimo tipo di vendita è curioso scoprire che molti venditori italiani dello stesso mercato vengono a comprare qua: arrivano, scelgono la merce, fanno un ordine ben preciso e subito i figli più giovani dei proprietari si mettono al lavoro riempiendo bustoni celestini: reggiseni, magliette, jeans e giubbotti a seconda dell’ordine che è stato richiesto. Poi, dopo circa una mezz’ora, i commercianti italiani ritornano, pagano e fanno caricare le auto dagli stessi giovani. Il tutto avviene molto velocemente, tra qualche parola e risata dei ragazzi che riempiono i bustoni e i proprietari che parlano con i clienti, ma solo d’affari. I commercianti cinesi della zona infatti difficilmente parlano di argomenti al di fuori del proprio commercio.
“E’ possibile che non si relazionino con gli italiani a causa delle difficoltà linguistiche”, sostiene il signor Mario Vasta, proprietario di un negozio di abbigliamento con prezzi più alti rispetto agli altri negozi della zona. Lui non risente del “boom giallo” perchè “a differenza mia, loro trattano solo prodotti a basso prezzo”. Secondo i dati dell’Unione delle Camere di Commercio, tra il 2003 e il 2004 in tutta la Sicilia si è passati da 559 a 923 imprese individuali con titolari di origine cinese; nella sola Catania si è saliti da 146 a 220. Catania è infatti la seconda provincia siciliana, dopo Palermo e prima di Messina, con la maggiore concentrazione di imprese di proprietà straniera.
Per quanto riguarda la clientela, dentro i negozietti dalle lanterne rosse si incontra gente di tutte le età. Soprattutto donne. Spesso sono mamme come la signora Antonietta, che ha 2 figlie di 20 e 27 anni e ha appena acquistato una magliettina estiva per la più grande e un maglioncino di cotone per la piccola: “Compro spesso in questi negozietti perchè allo stesso prezzo di un capo di una marca italiana posso comprarne 4 o 5 diversi. Anche se la qualità è un po’ più scadente”. E proprio riguardo alla qualità dei capi interviene Valentina, una ragazza di 19 anni al primo anno di Scienze Motorie all’università di Catania: “Anche io prima acquistavo con molta facilità prodotti cinesi, finché non ho avuto un’allergia alla pelle dovuta al tessuto di un maglioncino acquistato proprio in questa via. Quello che non ho speso in vestiti l’ho speso dopo in pomate”. Altre volte invece sono donne benestanti e ben vestite che acquistano soprattutto capi “basic” da abbinare poi a costosi tailleurs o da mettere in casa per comodità.
In zona fiera a Catania basta entrare in uno di questi negozi per accorgersi, comunque, di quanto questo popolo sia laborioso e viva un profondo spirito di comunità: i negozi sono infatti tutti gestiti da famiglie che collaborano tra loro e che tra loro mantengono vive le tradizioni del proprio paese d’origine. Spesso infatti parlano tra loro in dialetto o, se si va in quella zona verso l’ora di pranzo, si può ben notare che pranzano tutti insieme attorno ad un tavolinetto pieghevole salvaspazio, impugnando i loro tipici bastoncini e con pietanze molto più vere di quelle servite a noi occidentali dai loro ristoranti. Passando accanto agli scaffali pieni di indumenti – a volte originali, a volte falsi d’autore – si nota subito che c’è un ordine meticoloso. Quasi incredibile per così tanti prodotti.
Oltre che nei negozi di proprietà, la presenza cinese è ben visibile anche tra le bancarelle. Infatti soprattutto negli ultimi quattro anni si è moltiplicato il numero di mercanti, provenienti dalla Cina e non, solo che affittano bancarelle alla fiera. Ed è proprio qua che il disagio dei commercianti catanesi si fa sentire. “Tasse + euro + cinesi = stamu murennu tutti ‘i fami”, sostiene un venditore di intimo vicino a via Teocrito. Ma sulla “convivenza” lavorativa quasi tutti i commercianti la pensano allo stesso modo: “Non parlano, non comunicano con noi. Anche se – sostiene un’altra proprietaria di una bancarella d’abbigliamento – sono molto pacifici ed educati, a differenza di molti di noi”.
“Non è cambiato molto da quando loro sono qua, la crisi c’è ma non è solo colpa loro”, sostiene un’altra delle commercianti. La confusione, le voci e i vocioni che invitano a comprare merce di ogni tipo e colore sono sempre le stesse nella zona fiera a Catania. Solo che ora, dietro i vestiti dai mille colori che svolazzano dai tendoni e dietro il rumoroso viavai dei passanti, ci sono le lanterne rosse. Insegne immobili di un mercato dove tutto si vende in silenzio.
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