Quando si parla di riforma dei consorzi di bonifica viene in mente subito una nota trasmessa da palazzo d’Orleans nel 2019 che parlava, parole dell’allora presidente della Regione Nello Musumeci, di «una riforma epocale che in Sicilia pone fine, dopo 24 anni, al calvario dei Consorzi di bonifica che in passato, a conti fatti, invece di erogare acqua sono stati capaci soltanto di recapitare bollette salate agli agricoltori». In realtà l’annuncio in questione, nonostante l’entusiasmo, parlava del fatto che il testo preparato dalla maggioranza dell’epoca era stato esitato in commissione Attività produttive, sarebbe poi dovuto passare al vaglio della commissione Bilancio e infine essere votato dall’Assemblea regionale siciliana. E sui banchi dell’Ars quella riforma ci è pure arrivata, anche se totalmente smontata e rimontata nottetempo. Fatica sprecata, alla fine niente svolta epocale. Del governo Musumeci per quanto riguarda i consorzi di bonifica, si ricorda solo la gigantesca opportunità persa con i 61 progetti presentati dai consorzi per catalizzare i fondi del Pnrr, cestinati in blocco, con relativa perdita immane di risorse.
Passano gli anni e i governi. Questa volta la palla ce l’ha Renato Schifani, che della sua di riforma fa un caposaldo dell’azione di governo. E la nota stampa, corredata da foto sorridente dell’ormai ex assessore all’Agricoltura Luca Sammartino che mostrava la futura mappa delle competenze territoriali dei consorzi, ridotti drasticamente nel numero e da parole più caute, ma non meno giubilanti: «È una riforma attesa da tutti gli agricoltori – diceva Sammartino – frutto del lavoro certosino e competente degli uffici dell’assessorato, che abbiamo condiviso con i rappresentanti delle categorie produttive, delle associazioni, dei sindacati, in una logica inclusiva e di confronto indispensabile. Il testo di legge non ha un approccio ideologico, ma pragmatico: deve garantire regolarità ed efficienza del servizio». Anche in quel caso la riforma aveva appena superato lo scoglio della commissione Attività produttive, ma stavolta, arrivata in commissione Bilancio l’11 ottobre del 2023, scompare dai radar, mentre i giorni diventano settimane, le settimane mesi e la Sicilia sprofonda in una delle peggiori crisi idriche di sempre.
Il motivo? Una questione di soldi. Tanti soldi. Il punto è che la riforma attualmente parcheggiata in commissione Bilancio prevede il totale riordino dei consorzi, che dovrebbero passare da 13 a quattro. Non si era tuttavia considerato che gli attuali 13 consorzi, che sono commissariati ininterrottamente dal 1992 – giusto per avere un’idea del tempo che passa, quando i deputati regionali Ismaele La Vardera, Calogero Leanza e Martina Ardizzone non erano ancora nemmeno nati e il presidente dell’Assemblea Gaetano Galvagno aveva appena sette anni – nel frattempo hanno accumulato, chi più, chi meno, una quantità di debiti che supera di gran lunga i cento milioni di euro, che non saranno certo cancellati con la creazione di quattro nuove entità pronte a cominciare il lavoro da zero. Per non parlare poi di tutto il personale che con la riduzione degli enti andrebbe quanto meno redistribuito. Nodi per cui si aspettava con ansia la Finanziaria, approvata a inizio gennaio lasciando tuttavia la situazione immutata. Di certo c’è che pure la maggioranza, che ancora oggi continua a dirsi «coesa sulla bontà del testo della riforma», oltre che «consapevole dell’urgenza di questa riforma», comincia a crederci un po’ meno.
Sul fronte della Democrazia cristiana, giusto per citare qualche esempio, sarebbero pronti diversi emendamenti al testo. Un testo su cui ora, con gli agricoltori sul piede di guerra, anche su questo fronte, visto che come spiega il deputato del Partito democratico Tiziano Spada: «Ci sono agricoltori che stanno ricevendo pignoramenti e fermi amministrativi. Che pur non avendo utilizzato un litro d’acqua sono costretti a pagare più di 20mila euro nei confronti del consorzio di bonifica». Intanto la situazione degli invasi non accenna a migliorare, l’ultimo rapporto dell’autorità di Bacino, aggiornato ad aprile, parla di dighe ancora a secco, alcune con una diminuzione del livello delle acque che oscilla tra il 50 e l’80 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. E in Assemblea, nel frattempo, si pensa a stravolgere il testo della riforma e cominciare – ancora una volta – tutto da capo.
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