In generale, «quello che rende una mostra di valore è la maniera in cui si esprime il suo messaggio, la ricerca che c’è dietro, l’equilibrio tra tradizione e innovazione che riesce a raggiungere, l’impatto che può avere sul suo pubblico. Io non parlerei di opere maggiori e opere minori». Così Mercedes Auteri – museologa e storica dell’arte di origini catanesi, che ha lavorato in diversi musei in Italia e all’estero – parla delle polemiche scoppiate in questi giorni dopo l’inaugurazione della mostra di Marc Chagall al Castello Ursino. Il dibattito è esploso sui social network. Da una parte il cantautore Mario Venuti: «La mostra di Chagall già ospitata al Chiostro di Bramante a Roma arriva a Catania – scrive su Facebook – Bene, sappiate tutti che è una truffa: ci sono solo disegni a china e neanche un olio su tela». Secca la risposta dell’assessore alla Cultura Orazio Licandro: «Spero comunque che asini, tromboni e umoristi locali vadano a vedere la mostra. È possibile, non probabile, che una qualche fiammella gli si possa accendere dentro».
«Non ho visto la mostra che attualmente è al Castello Ursino, solo perché vivo lontano», premette Auteri. Ma nel caso specifico di Marc Chagall «uno qualunque dei suoi bozzetti o anche un solo rigo di una sua lettera sarebbero capaci di accendere grandi emozioni individuali come anche eccezionali rivelazioni di valore storico». Quello che servirebbe, sostiene l’esperta, è invece «riprendere il sempre attuale dibattito sul concetto di valore nell’arte. Spiegando che valore, proprio come arte, è una parola alla quale non si può dare un significato a priori se non contestualizzando, studiando, cercando risultati di riferimento».
La tendenza a organizzare mostre con nomi di richiamo e opere poco conosciute «è un problema italiano e internazionale, non solo catanese». Il nodo da sciogliere, sostiene Auteri, non sta nell’assenza di opere considerate maggiori. «Il punto invece è proprio l’etica che sta dietro mostre temporanee che, purtroppo, molto spesso si basano su una spettacolarizzazione dei grandi nomi». Ossia «la mancata valorizzazione delle collezioni e dei musei presenti sul territorio che comporterebbe maggiori investimenti sulla ricerca, sulla cura delle collezioni e sulla mediazione del proprio patrimonio e conseguente minore finanziamento per le cosiddette mostre spacca botteghino che in molti casi hanno grande risonanza mediatica ma sono prive di qualsiasi relazione con la città».
In casi come quello di Catania, «il più grande tema di polemica è probabilmente legato ai costi di spesa e al biglietto d’ingresso delle mostre-spettacolo che hanno attirato visitatori che si sono sentiti usati, spesso consapevolmente, per finanziare l’evento, per fare profitti sia sul lato pubblico che su quello privato», analizza. «Anche a livello internazionale, nei primi decenni del nuovo secolo tra mostre e musei appare, ormai, una tendenza alla divaricazione – continua la studiosa – Le mostre temporanee che vantano prestiti di collezioni lontane appartengono sempre più al mondo dell’effimero, dello stupore, della commercializzazione, con i servizi che tendono allo sfruttamento delle presenze dei grandi nomi piuttosto che allo studio, all’informazione e al benessere del pubblico». Dal canto loro, i musei, «grazie probabilmente alla loro natura permanente e alla difesa delle collezioni operata dai conservatori, non solo in molti casi faranno resistenza passiva alle mostre spettacolo ma, in futuro, dovrebbero proporsi sempre più in controtendenza, come luoghi di educazione, di restauro, di studio e, soprattutto, di coesione sociale».
Ma una città come Catania, è pronta a eventi di questo tipo? «Purtroppo temo che al pubblico catanese non manchi l’interesse a eventi di questo genere, ma la costanza con cui potere frequentare luoghi di cultura e, soprattutto, una reale affezione al proprio patrimonio», risponde. «Da questo si parte per generare tante altre buone pratiche – sottolinea Mercedes Auteri – tra cui quella che ci aiuta a rispettare il bene comune e a proporre delle migliorie, a partecipare alle iniziative di valorizzazione, a frequentare i luoghi di cultura vicini o lontani quando, viaggiando, sapremo essere esploratori, ricercatori e non solo turisti».
«Quando si pensò al riordino delle civiche collezioni del museo di Castello Ursino – ricorda – Andrea Emiliani sottolineò l’importanza dei musei civici in cui “le virtù della città, principio unico e solo della storia italiana, avrebbero dovuto saldarsi alle comunità, narrarne la storia e ispirarne il futuro”». Una missione da dover sempre tenere a mente, per quello che «è, tra battute d’arresto e riprese, il principale museo a rappresentanza della città».
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