Pochi giorni fa durante l’ascolto d’un paio di vinili della vecchia Palermo underground, roba tipo 180 In Opposity, perle ormai rare, è riaffiorato di colpo tra i vari ricordi un luogo in particolare, Villa Lampedusa. Ecco, che fine ha fatto Villa Lampedusa? Dopo essermi fiondato sul web per una sfrenata ricerca d’informazioni, sono rimasto colpito alla lettura dei primi link offerti dal motore di ricerca. Villa Lampedusa Hotel And Residence. Cosa? Quella Villa, situata circa alla fine della va Dei Quartieri, tra la Palazzina Cinese e l’affascinante piazza Niscemi, è stata a cavallo tra gli anni ’90 e i primi anni 2000 un punto di riferimento e di aggregazione importantissimo, per tutti, ad ogni livello.
Villa Lampedusa venne costruita come residenza suburbana all’epoca di Ferdinando IV di Borbone che aveva una residenza estiva, la cosiddetta Casina Cinese, nei pressi della quale la nobiltà siciliana costruiva le proprie ville di campagna. All’inizio del XVIII secolo, venne fatta edificare da Don Isidoro Terrasi, nel 1756 vennero effettuati alcuni lavori di ristrutturazione su progetto di Giovanni Del Frago. Degne di nota poi le decorazioni eseguite da Gaspare Fumagalli. La villa è anche appartenuta ai Principi Alliata di Villafranca e infine ai Tomasi di Lampedusa. All’epoca del romanzo Il Gattopardo era più noto come Osservatorio ai Colli del Principe di Lampedusa dall’attività prediletta dell’allora proprietario, Giulio Fabrizio Tomasi, nonno di Giuseppe Tomasi di Lampedusa e figura storica a cui lo scrittore si ispirò per il personaggio di Principe Fabrizio Salina protagonista del romanzo Il Gattopardo.
Dagli anni ’90 in poi Villa Lampedusa accoglieva eventi, musica, spettacoli, jam di graffiti – Sì, una volta fu organizzato un spot per writerz con dei pannelli sui quali poter dipingere durante una serata musicale all’esterno del tendone dove si svolgevano i concerti -. Tutto ciò che accadeva oltre quel cancello che racchiudeva una magia tutta da scoprire, un suono ammaliante, coinvolgente e anche un parcheggiatore abusivo che, non si capì mai come riusciva a svolgere il suo lavoro all’interno del vasto posteggio stracolmo di pietre d’ogni misura e sabbia, polverosa e sottile.
Non era un luogo frequentato dai giri esclusivi. Quei concerti, accoglievano la gente della scena, quasi fosse un punto d’incontro tra varie realtà dove poter dar sfogo alla propria tranquillità, lontani dalla militanza, lontani dagli impegni politici, lontani dalle occupazioni, lontani dalle sale prova e dalla routine e la cosa funzionava alla grande. Ricordo in particolare i concerti dei Magilla Gorilla lì dentro. C’era il vasto tendone bianco, dove all’interno erano posizionate come un mosaico delle pedane in legno che col tempo cominciarono anche a puzzare benché rimasero sempre perfettamente unite l’una a fianco dell’altra. I Magilla erano una band di stampo punk, anche se, all’interno delle loro sonorità amavano mischiare tutto quel sound proveniente dalla Jamaica del ’69 e dall’Inghilterra dei primi anni ’90, così riuscirono a emergere nel mondo musicale underground italiano affiancando realtà come Shandon o Vallanzaska, insomma il primo ska-core, genere che ebbe fortuna fino al 2005 circa. Bene: sul palco vibravano gli strumenti di quella band? Fuori, in quel polveroso parcheggio, si faceva la fila per entrare!
Un tappeto di gente danzante, urlante, concerti mitologici dentro quella tenda, serate indimenticabili, pogo e sudore, cori e birre a fiumi. Non erano certamente da meno tutte quelle serate legate e temi contro-culturali che scandite da protagonisti provenienti da ogni parte d’Italia, generi musicali che a pensarci bene oggi potrebbero stonare in quell’ambiente così pittoresco, immerso nel verde e così elegante nel suo lato esteriore. Si respirava un’aria totalmente differente, ci si spostava in massa qualsiasi fosse il genere musicale proposto dalla serata, eravamo parecchi: metal, hardcore, rap, punk, punk rock, straight edge, un legame unico, una catena indistruttibile! Qualche anno fa, arrivò la notizia di un grosso concerto: La Coka Nostra, giganti dell’hip hop d’oltre oceano, direttamente dagli Stati Uniti a Palermo, proprio a Villa Lampedusa. Durante lo stesso evento si sarebbero esibiti i Sonny Corleone, storica compagine del crust punk cittadino, una reunion organizzata apposta per quella occasione e poi Stokka & Madbuddy, pilastri del rap palermitano. Arrivai lì, davanti al grosso cancello molto presto, in vespa, trovai di fronte a me un assembramento di persone infuriate, qualcosa non funzionava, vidi da lontano alcuni dei ragazzi che si sarebbero dovuti esibire allontanarsi dalla ghiaia del parcheggio con gli strumenti sulle spalle, beh era impossibile perché dopo poche ore sarebbe cominciato tutto.
Quella sera, infine, il concerto fu spostato al Bier Garten, un enorme disco club lungo Viale Regione Siciliana, così, non riuscii a riconciliarmi con l’anima di Villa Lampedusa di nuovo. Quella fiamma, spenta, probabilmente non si accenderà mai più ed è un gran peccato ma, può succedere, tutto ha un inizio e tutto ha una fine. Ma un hotel resort…
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