C’era una volta la lotta di classe. Dov’è finita?

MENTRE LA CGIL CELEBRA IL PROPRIO CONGRESSO A RIMINI CI SI INTERROGA SULL’ALLEANZA TRA IL PD DI RENZI E BERLUSCONI E SUL RAPPORTO DEL CENSIS. DAL QUALE VIENE FUORI CHE, NEL NOSTRO PAESE, I DIECI UOMINI PIU’ RICCHI DISPONGONO DI UN PATRIMONIO PARI A QUELLO DI 500 MILA FAMIGLIE MESSE INSIEME. MENO MALE CHE CARLO MARX NON C’E’ PIU’…

E’ dal 1989, dalla caduta del muro di Berlino che dalla cultura politica del Paese è sparita la nozione di “classe”. Scomparsa perché, secondo le valutazioni ‘disinteressate dell’alta borghesia nazionale, era portatrice di odio e di conflitti. Questa propaganda ha vinto, tant’è che nella sinistra il concetto e l’analisi politica di classe è scomparsa.

La Cgil, che era il ‘sindacato di classe’, ha cambiato pelle ed abbiamo via via assistito alla rivincita ‘di classe’ dell’alta borghesia e del capitalismo finanziario. A fronte di questa rivincita di classe la sinistra balbetta, anzi è scomparsa e si è dovuta accodare alla figura emergente di Alexis Tsipras per tentare un appiglio e, possibilmente, assicurare la continuità ‘storica’ al proprio apparato residuo. Nel senso di dire: “Esistiamo ancora”.

Il sindacato della Cgil si è spaccato al congresso ancora in corso a Rimini, dove la linea di Susanna Camusso, cioè quella della sudditanza al Partito Democratico ed al Governo Renzi appare ancora vincente nonostante le battaglie di Maurizio Landini, segretario Fiom.

Per non parlare del PD di Matteo Renzi che della rivincita classista dell’alta borghesia è l’alfiere, unitamente al suo alleato naturale, Silvio Berlusconi, con il quale fa le riforme istituzionali, elevando un pregiudicato a padre della Patria, anzi a rango di neo costituente! Borghesia che non ha bisogno di prendere manganellate dalla Polizia per rivendicare la tutela dei propri interessi, perché le loro trame, attraverso le varie massonerie, le loro fondazioni e i loro circoli esclusivi che le rappresentano, dispongono di mezzi più convincenti che non quelle delle manifestazioni popolari di piazza, a rischio di infiltrazioni pilotate che giustificano le manganellate e gli arresti.

Costoro hanno sposato in pieno la dottrina Marchionne in tema di mercato del lavoro e di diritti dei lavoratori nelle aziende e nella società, operando, attraverso il Governo che rappresenta al meglio i loro interessi, l’ennesima riforma (cioè abolizione) dei diritti dei lavoratori e della loro condizione, per renderla sempre più precaria e, perciò, più debole. Per non parlare dell’eterna questione dell’articolo 18 dello Statuto dei diritti dei lavoratori, che, ancorché annacquato dall’ultima revisione, resta pur sempre una garanzia della dignità del singolo lavoratore.

Questa è la concezione che la nuova ‘sinistra’ ha del lavoro, della sua dignità e del suo ruolo nella società. E Matteo Renzi è il paladino di questa nuova concezione. Lo dimostra la sua arroganza nei riguardi del sindacato e del suo ruolo negoziale e, di conseguenza, dei lavoratori: o si adeguano o vadano al diavolo, tanto le imprese possono sempre trasferire le proprie produzioni in altri Paesi dove le condizioni più favorevoli e dove i salari sono bassissimi e le tutele ambientali e di sicurezza inesistenti. E dove i Governi li esentano dalla tassazione: una specie di off shore. Questo in materia di lavoro è il Renzi-pensiero.

Si badi, questa concezione è totalmente estranea a qualsivoglia elementare nozione economica, perché la competizione si vince sul terreno della produttività (leggasi:innovazione di processo e di prodotto, nonché di tecnologie avanzate e, perciò, di investimenti) e non sulla precarietà del lavoro, che necessariamente è meno qualificato e perciò meno produttivo. La battaglia sul precariato è una operazione politica di classe che tende a rendere sempre meno significativo il ruolo del lavoratore nel processo produttivo e nella società.

La lotta di classe, senza dichiararla, l’hanno fatta e continuano ostinatamente a farla loro.

Quanto fin qui descritto trova clamorosa conferma nel recentissimo Rapporto Censis, come riportato e commentato da Il Sole 24 ore, dove si legge che le “differenze sociali sono il ‘male del Paese’.

I dieci uomini più ricchi dispongono di patrimoni per 75 miliardi di euro, pari a quello di 500 mila famiglie messe insieme.

Non solo: 2000 ‘paperoni’ italiani dispongono di patrimoni superiori a 169 miliardi di euro, escluso il valore degli immobili. Cioè lo 0,003 per cento della popolazione possiede tanto quanto il 4,5 per cento”. E continua: “Il patrimonio di un dirigente è pari a 5,6 volte quello di un operaio, vent’anni fa era pari a tre volte, quindi è quasi raddoppiato; un libero professionista ha un patrimonio equivalente a 4,5 volte; un imprenditore ha, invece, sostanzialmente mantenuto il proprio livello di accumulazione, passando dal 2,9 al 3 per cento”.

Rispetto ad appena 12 anni addietro i redditi di operai sono diminuiti del 17,9 per cento, mentre l’1 per cento dei ‘top earnes’ – ovvero i redditi più alti, cioè 414 mila contribuenti – nel 2012 si è diviso un reddito di 42 miliardi di euro, equivalenti a circa 102 mila euro a testa.

A fronte di questi numeri, i redditi medi dichiarati sono inferiori a 15 mila euro.

Questo il quadro economico-sociale del Paese che il governo Renzi ritiene di risolvere con 80 euro lorde al mese nelle buste paga dei lavoratori più poveri e rifiutando il confronto sulle prospettive di sviluppo con i sindacati. Così è se vi pare.

Foto di prima pagina tratta da bananaffair.it

Riccardo Gueci

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